Kyoto
schiaccia Kyoto,
05/09.08.2006
Sullo Shinkansen apriamo i cestini che Yukiko e Satoko
hanno comprato alla stazione.
Appena tirano fuori le scatole perfettamente confezionate,
mi prende bene, scatoline di cibo, perfette, in legno
(bambu').
Comincio il rito dello spacchettamento, stando
perfettamente attento a non rovinare quel capolavoro.
Sorpresa delle sorprese, il mio non e' bambu', il mio e'
quello piu' economico dei tre, 800yen invece che 1050yen
come quello delle due giapponesi sadiche.
E' una specie di polistirolo, che polistirolo non e', con
serigrafata sopra la texture del bambu'.
Ad una prima occhiata sembra veramente bambu', ma quando lo
prendi in mano e senti che non ha assolutemente peso,
capisci che hai a che fare con la simulazione del bambu'.
Apro e l'interno e' una tesi sull'ordine e l'organizzazione
pasto.
Tanti piccoli scompartimenti con dosi di diversi tipi di
verdure e alimenti vari, al centro, in uno scompartimento
piu' grande, il riso.
Set di bacchette spezza e usa e qualche piccola busta con
salsine varie per insaporire il tutto.
Sto pranzando mangiando giapponese da un cestino tipico
giapponese viaggiando sullo shinkansen giapponese con
Yukiko e Satoko, mi prendo un attimo, alzo lo sguardo e le
osservo mentre si preparano il pranzo, accompagno lo
sguardo fuori dal finestrino e vedendo il Giappone scorrere
dietro di loro, penso che se morissi tra un minuto sarei
comunque soddisfatto.
O sto veramente invecchiando o il Giappone e' l'unico paese
in grado di commuovermi nelle le situazioni piu' disparate.
Finisco di pranzare e cerco di portarmi avanti con il
resoconto.
Sullo shinkansen, ogni volta che un addetto passa per il
vagone, appena entra si ferma sulla porta, fa un inchino,
dice qualcosa e attraversa lo scompartimento, prima di
uscire si gira di nuovo verso i passeggeri, fa di nuovo un
inchino, saluta ed esce.
Con la puntualita' dello shinkansen puoi puntarci la
lancetta dei secondi dell' orologio.
E tutte le maledette volte mi vengono in mente i treni
delle ferrovie dello stato italiano, ma per non rovinarmi
il fegato cerco di cancellare subito l'immagine del
tabellone italiano che annuncia 20 minuti di ritardo quando
in realta' sono 45 e hai ampiamente perso la coincidenza
dovendo aspettare ulteriori 60 minuti (dall'arrivo) per la
coincidenza successiva, cancellare l'immagine dei vagoni
sporchi e vecchi, della cafoneria regnante sul 90% degli
addetti e tutta un'altra serie di cose che chiunque abbia
preso il treno almeno 2 volte puo' facilmente immaginare.
"I mezzi di trasporto in Giappone sono molto costosi" e io
dico che fanno bene, il servizio e' impeccabile, perfetto,
sono in orario, pulitissimi, comodissimi e sono contento di
dare i miei sudati risparmi alle ferrovie giapponesi.
KODAMA (eco), treni prodotti dal 95 in poi, altri sono
usati per le linee locali secondarie e sono comunque
superiori al vanto delle nostre ferrovie, il tristemente
famoso "EUROSTAR".
HIKARI (luce) treni prodotti sempre dal 95 in poi sulle
linee, una particolarita' di questo treno e' che in caso di
disastri ambientali, vedi terremoti, tifoni o altre
sciocchezze catastrofiche, apre ai suoi lati delle specie
di "orecchie di gatto" che servono ad aumentare l'attrito
(che e' naturalmente nullo) per fermare nel minor tempo
possibile il treno.
NOZOMI (desiderio) treni NOVITA', qui si
viaggia sugli ultimi ritrovati ferroviari, quello che in
Italia non vedremo mai, con il RAILPASS non puoi usare
questa linea, quindi non so come sia, ma preferisco
immaginarla mentre arriva alla stazione coperta da uno
strato di ghiaccio lasciando alle sue spalle le rotaie in
fiamme.
Puntualmente arriviamo a Kyoto.
Scendiamo e comincia il triste rito del trascinamento
valigie, fortunatamente questa volta passera' a prelevarci
Hatch.
Satop chiama Hatch, ancora 10 minuti e sara' da noi, il
caldo inesorabile ci fa optare per un piccolo bar aria
condizionato.
Qui Satop e Yukiko ordinano due bevande ghiacciate, io,
memore di un documentario sui cammelli e il deserto del
sahara, avendo sentito che i beduini nelle loro lunghe
migrazioni sulla groppa del cammello sotto il ciocco del
sole bevono SOLO bevande CALDE, ordino una tisana calda.
Mi vedo recapitare dopo pochi minuti una tazza coordinata
ad una teiera, bollente, che mi fa capire quanto fuori
luogo sia in quel momento quell'icona tipicamente invernale
che e' la teiera bollente in questo clima tipicamente
tropicale.
Mentre io cerco di fare finta di niente bevendo la mia
bollente tisana in una bollente Kyoto, ecco che arriva
Hatch.
Non vedevo Hatch da questo inverno (go japan1) ma mi sembra
che non siano passate neanche due settimane.
Hatch ordina una bella bevanda ghiacciata, deridendomi
quando gli offro un po' della mia bollente, cercando di
abbreviare la mia personale agonia.
Segue il piano per la giornata.
Prima di tutto ci dirigiamo al ryokan per lasciare i due
blocchi di marmo senza ruote con i 4 vestiti dentro.
Arriviamo e ci accoglie una vecchietta giapponese che ha
almeno il doppio degli anni dell'albergo che gestisce.
E' alta circa un metro e mezzo e la sensazione che ti fa
provare al primo impatto e' di tenerezza.
Parla con una vocina esile esile e i suoi occhi hanno
litigato pesantemente, decidendo infine di smettere di
guardare tutti e due dalla stessa parte.
Non parla una singola parola di inglese, ma c'e' Yukiko e
si mettono d'accordo sul tutto.
Ci accompagna di sopra, lungo una tipica scalinata
giapponese, di quelle da base jumping una volta arrivati in
cima, io la seguo stando pronto ad afferrarla nel caso
precipitasse.
Questo ryokan e' di gran lunga superiore a quello di
Hakata, entriamo e la stanza e' preparata per il
pomeriggio, con tavolino al centro e termos con acqua
bollente per eventuale te' pomeridiano.
Ci avverte che la stanza verra' successivamente preparata
per la notte e che potremo usufruire del bagno giapponese
dalle ore 21:00 alle ore 24:00.
Salgono con noi anche Hatch e Satoko, in cerca di un po' di
refrigerio.
In Giappone, per qualsiasi tipo di alloggio, che sia antico
o all'avanguardia, l'unico comun denominatore e' l'aria
condizionata.
Lungo i corridoi non posso non notare le lampade
d'emergenza appese alle pareti, devono sicuramente risalire
ad un'epoca ormai persa nel tempo, non mi azzardo a
toccarle pensando che la peggior catastrofe incomberebbe
spostando sull' ON l'interruttore.
Giusto il tempo per fare una granita di sudore e siamo di
nuovo in macchina da Hatch, rigorosamente parcheggiata
sotto il ciocco del sole, con la carrozzeria rigorosamente
NERA e rigorosamente senza aria condizionata.
Facciamo una passeggiata in una delle numerose gallerie
commerciali di Kyoto, qua e' abbastanza comune trovare
questo genere di "galleria", in sostanza e' una via che
viene "coperta" permettendo ai potenziali acquirenti di
passeggiare indisturbati anche in caso di pioggia o, ancora
peggio, in caso di sole.
C'e' di tutto, dal minimarket al negozio di vestiti
vintage, dalla farmacia alla galleria d'arte, ci trovi dal
chiodo alla gru, e' quel genere di posti dove tutti trovano
tutto...tutti tranne me, ovviamente.
Io non trovo mai niente, se c'e' qualcosa che mi piace non
e' della mia misura, se c'e' della mia misura e' la
variante delle due possibili opzioni che mi fa cagare.
Io non so come possa continuare a vestirmi, trovo un paio
di jeans ogni 2 anni, sono arrivato al punto che quando
trovo qualcosa che mi va bene e che mi piace, la compro in
duplice copia.
Tra tutti i negozi c'e' non puo' mancare un tempio,
entriamo, e' il tempio dedicato ai problemi alla vista.
A quanto pare ogni tempio ha la sua specialita', anche qui
c'e' un gadget da acquistare sul quale scrivere il proprio
desiderio e appenderlo.
Partecipo al rito con scossa al campanaccio, battuta di
mani e desiderio che poi e' sempre lo stesso, un buon
augurio molto generico.
Kyoto e' disseminata di alcune strane mascotte, tali
mascotte non sono altro che statue di procioni affette da
elefantiasi ai testicoli, inizialmente si pensa di aver mal
interpretato la scultura, ma da un esame piu' approfondito
si capisce che non c'e' scampo, hanno veramente le palle
gigantesche.
Yukiko mi dice che e' "per la buona fortuna", io le dico
che in Italia e' sinonimo di annoiamento stratosferico.
Passeggiando arriviamo ad un fiume che attraversa Kyoto,
lungo l'argine e' un brulicare di persone, pieno di stand
e' esattamente una copia della festa che c'era a Tamana,
solo moltiplicata 10, cio' significa che il modulo di
Tamana era stato preso e ripetuto 10 volte
consecutivamente, esattamente come per le case.
Ci sono stand di tutti i tipi, ci si urta, si rimane
ipnotizzati dai mille "IRASHAIMASE" (benvenuto) e dalle
bellezze locali, per le quali mi rendo conto di non avere
un parametro ben preciso come per le occidentali.
In sostanza se su 10 occidentali possono piacermene 2 o 3
(nel migliore dei casi), su 10 orientali me ne piacciono 7
o 8 (nel peggiore dei casi), tanto che
comincio a sospettare una mia qualche patologia mentale, se
poi indossano uno yukata o un kimono, ogni parametro di
valutazione viene annientato.
In uno stand noto un brulicare di bambini, ci sono anche
delle gabbiette terrario e capisco che una delle mie
peggiori paure sta per trovare una conferma: e' lo stand
degli scarafaggi.
Se c'e' qualcosa che mi fa veramente schifo sono gli
insetti, gli scarafaggi poi non si reggono proprio.
Bene, in questo stand ci sono tutti i tipi di scarafaggi
possibili immaginabili, dalle mini midi maxi cavallette ai
cervi volanti, alcuni potrebbero andare in giro con una
sella sulla schiena.
Mezzo stand e' comletamente buio, illuminato a
intermittenza da piccole luci, "gli insetti della luce!
quelli del cartone animato di Ghibli" mi dice Yukiko,
sfioro la commozione pensando che finalmente rivedro' le
lucciole, in Italia penso di averle viste per l'ultima
volta quando avevo meno di 10 anni, in montagna.
Mi avvicino molto lentamente e cerco di capire qualcosa in
mezzo a quel buio intermittente.
Eccole li', le piccole care lucciole, che lampeggiano a
intervalli regolari, eccole li', finalmente dopo tutti
questi anni posso rivederle in Giappone, riprodotte in
plastica e led luminescenti.
Vorrei piangere, ma non per la commozione.
Fortunatamente sono accerchiato da giapponesine in yukata
che mi fanno dimenticare le brutture del mondo.
Penso a chi potrebbe comprare quelle fintissime lucciole e
al perche' uno dovrebbe comprarle, a quel punto mi viene in
mente una scena alla sauna con il padre di Satoko dove
vedevo dei giapponesi contemplare una finta cascata d'acqua
dietro la vetrata della sauna.
I giapponesi sono un popolo di contemplatori, i ritmi che
gli impone il loro stile di vita, l'altissima densita' che
li costringe a vivere spintonati nelle metro, intrecciati
sugli attraversamenti pedonali, genera in loro la
necessita' di "valvole di sfogo" come questa, dove riescono
ad estraniarsi da tutto e rilassarsi di fronte a spettacoli
reali o artificiali, non ha importanza, purche' siano
spettacoli.
Cosi' le lucciole come la cascata, nella loro
artificialita', sono spettacoli e i giapponesi li
contemplano in profonda meditazione.
C'e' da dire anche della strana ossessione che i giapponesi
hanno per i robot, ossessione che trova la massima
celebrazione in ASIMO, della Honda, un robot umanoide che
in una prima versione era alto quasi quanto un uomo ma che
e' stato successivamente ridotto all'altezza di un bambino
di 10 anni "per essere meno inquietante".
Forse per i giapponesi la rappresentazione esatta e
perfetta di qualcosa di reale vale come e forse piu' della
realta' che si vuole rappresentare...e come dargli torto?
Mi sono perso come al solito, cercando di inquadrare la
mentalita' di questi giapponesi, e piu' cerco di capirci
qualcosa piu' mi rendo conto che c'e' qualcosa che mi
sfugge e che non riusciro' mai a capire.
Fanno le cose al contrario, parlano al contrario, la
sintassi delle loro frasi e' completamente stravolta
rispetto alla nostra, questo significa che il loro cervello
elabora i concetti in maniera sostanzialmente opposta alla
nostra, dovrei stravolgere tutte le mie dinamiche di
analisi per riuscire FORSE a capirci qualcosa...ma chi ci
vuole capire qualcosa? e' bellissimo cosi' com'e'.
Passiamo di fianco ad uno stand di ORIGAMI: questa mi
mancava!!
Un'anziana volontaria della carta piegata ci fa accomodare
ad un tavolino e comincia a mostrarci diversi origami gia'
fatti.
Il tavolo e' pieno zeppo di microscopici insetti che sono
il doppio dei nostri normali moscerini e sono completamente
verdi, il corpo e' allungato e verde e piovono dal soffitto
dopo aver cercato di entrare nella plafoniera del neon che
illumina lo stand.
Alzo lo sguardo per capire l'entita' dell'infestazione e mi
rendo conto che non imparero' MAI a fare un qualsiasi
origami con il pensiero fisso allo stormo di insetti che
stanno sopra la nostra testa e che continuano a cadere
riempiendo il tavolo.
L'anziana e' presa dal morso della tarantola, corre, prende
fogli di carta per spazzare via gli insetti dal tavolo con
il solo risultato di spalmarli in mille righe rosse.
Proviamo a soffiare ma niente ne guardo uno da vicino e mi
accorgo che quella che mi sembra la testa in realta' e' il
culo, in giappone anche gli insetti sono fatti al
contrario, cazzo!
Scegliamo l'origami della stella ninja, questo origami si
rivelera' come l'unico origami che l'anziana volontaria non
ricordava bene dovendo ricorrere alla consulenza
dell'anziano volontario.
Dopo minuti interminabili, dietrofront, cambi di carta,
esplosioni di insetti, finiamo un set di stellette ninja,
io vengo rapito dalla modularita' del manufatto, in
sostanza mi accorgo che possono essere incastrati l'uno
nell'altro all'infinito, raccatto tutte le stellette che
trovo e ne compongo una gigante.
L'anziana volontaria e' esterefatta, tanto che prende la
mia composizione e la mostra all'anziano boss volontario
che congeda il mio colpo di genio con sufficienza proprio
mentre cominciavo a crederci.
Insacchiamo, tutti cominciano ad aver fame, e' tempo di
trovare da cenare.
Hatch ci guida nelle strade piu' strette e poco
raccomandabili di Kyoto, vicoli pieni di vapore, fumi di
piccoli ristoranti take away e NOREN svolazzanti.
I noren sono quei pezzi di stoffa tagliati e appesi sulla
porta d'ingresso, solitamente suddivisi in piu' parti, per
entrare ti costringono a farti largo con il dorso della
mano e chinarti leggermente, se si potesse prendere un
fotogramma chiave del movimento al suo culmine e
scontornare la persona, ne risulterebbe una posa tipo "CU'
CU'!! INDOVINA CHI SONO!".
Accompagnato da un "madaiatteru?" sarebbe perfetto e
significherebbe "e' ancora aperto?".
Il gesto in se' diventa quasi rituale, tanto che dopo
averlo fatto almeno 10 volte in 10 posti diversi, quando
non c'e' sembra che manchi qualcosa.
Finalmente raggiungiamo l' HOPPY.
L'Hoppy si rivela da subito un simpatico ristorante in
stile anni 60 giapponese, gestito da una media di 26enni,
le pareti sono foderate di ritagli di giornali d'epoca,
copertine di celebri album occidentali e sconosciuti album
orientali, copertine dalle quali fanno capolino i
corrispettivi nipponici di Little Tony e Bobby Solo.
Qui mi rendo conto che c'e' solo una cosa che fa piu'
cagare di qualcuno con la banana ed e' un
orientale con la banana, se poi sfoggia una
stempiatura notevole, abbiamo un capolavoro d'arte moderna.
L'HOPPY sa il fatto suo, inizialmente da' l'impressione di
un posto un po' raffazonato (messo insieme alla bell'e
meglio) ma scendendo nel dettaglio si capisce che in
realta' e' tutto coordinato, uno su tutti il piattino con
grafica finto vintage in stile anni '60, che denota una
scrupolosa ricerca sullo stile del tempo che fu.
L'hoppy sarebbe da 10 e lode se non fosse che tutte le
portate sono scandalosamente salate e ti costringono a bere
ettolitri di acqua, cosa che con il caldo che fa fuori, e'
totalmente controproducente.
Tra una chiacchiera e una boccata di sale, finiamo la cena,
s'e' fatto un po' tardi, domani andremo a fare altri
copiosi giri e decidiamo di optare per un "tutti a letto".
Arriviamo al ryokan e la sorella di Yoda ci chiede se
vogliamo usufruire del bagno pubblico, Yukiko decide di
si', saliamo in stanza e la troviamo adibita per la notte,
sono stati stesi due comodi futon al centro della stanza e
l'aria condizionata fa sempre il suo dovere.
Prendiamo i cambi biancheria, i due "pigiami" yukatati e
scendiamo.
Con mia enorme sorpresa il bagno pubblico e' unisex, sta a
significare che e' misto, che tutti e due possiamo entrarci
insieme, ovviamente e' anche riservato a noi due soli.
In sostanza e' una versione matrimoniale mignon del bagno
pubblico della sauna nella quale ero stato con il padre di
Satoko e prima ancora con Marco.
Ci sono due rubinetti con doccia e bacinella, piccolo
sgabello rigorosamente in legno POROSISSIMO, con tutto cio'
che ne consegue e su di un lato della stanza c'e' una
piccola vasca con acqua calda dove rilassarsi dopo essersi
strofinati e sciacquati copiosamente.
Va tutto bene finche' non decido di immergermi nella vasca
dell'acqua calda.
Entro e mi rendo conto che non e' cosi' calda come pensavo
che fosse, ma dopo una ventina di minuti, non so per quale
motivo, le pulsazioni cominciano a crescere
vertiginosamente, divento paonazzo e Yukiko mi suggerisce
che forse e' meglio uscire dalla vasca.
E cosi' la giornata finisce nel fresco futon steso sul
tatami del ryokan di Kyoto...steso al buio leggo nei titoli
di coda della giornata le parole "futon, tatami, ryokan,
Kyoto" e mi addormento con uno dei sorrisi piu' appagati
che si siano mai registrati sulla mia faccia.
Da domani ci trasferiremo all'hotel nel quale ci
regaleranno lo yukata.
La mattina seguente capisco che Yoda in realta' e' Darth
Wader travestito, tiranno maledetto, ci nega l'ospitalita'
delle borse (cosa che tutti gli altri hotel o ryokan
avevano permesso fino a quel giorno) dicendoci che dobbiamo
portarcele dietro.
Hatch e Satoko hanno un impegno di lavoro e possono
raggiungerci solo nel primo pomeriggio per accompagnarci
all'hotel.
Usciamo e mi sento il Cristo che trascina la sua maledetta
croce di ghisa rovente.
Ci dirigiamo verso il centro e finalmente riesco a vedere
un po' di vita quotidiana di Kyoto.
Ho una mano occupata a trascinare il trolley, una occupata
ad evitare che lo zaino appeso davanti non vada a
falcidiare "i gioielli di famiglia" e un'altra che di tanto
in tanto mi passa il tovagliolo sulla fronte per asciugarmi
dal sudore dell'immane fatica, in questa situazione non
posso certo concentrarmi su cio' che mi circonda.
Qui serve una pausa refrigerio, in un pertugio sulla via
principale che stiamo percorrendo c'e' un agglomerato di
distributori automatici, e proprio di fronte ad esso, la
proccidenza ha piazzato un set di deposito borse e valigie
a pagamento.
La punta con Hatch e' in questa zona, potremmo lasciare
tutto qua per pochi cento yen e farci il nostro giro in
santa leggerezza...mal che vada ci fregano tutto, zaino
vestiti e il mio zaino tecnologia, immagino il "worst case
scenario" (scenario del caso peggiore) con il nostro
ritorno e il box completamente vuoto, io che mi vedo
costretto al suicidio di massa, ma una tastata alla mia
schiena in un bagno di sudore, lava via ogni peggiore
casistica e accende in me la fiamma della fiducia
nell'onesta' dei giapponesi.
300 yen e ripartiamo di slancio, dev'essere una cosa seria,
ti lasciano anche la chiavetta per riaprire il box.
Mentre voliamo verso il centro, penso che chiunque
scambierebbe una chiavetta di ferro con un portatile e
accessori vari.
Se c'e' una cosa che va veloce piu' dei giapponesi, in
Giappone, e' il tempo, questo me lo dicevano anche mentre
viaggiavo in Cina anni orsono e infatti nel giro di pochi
minuti passano le ore.
Ci fermiamo in un locale a fare colazione e quando usciamo
e' praticamente ora di incontrare Hatch e Satoko.
Giusto il tempo per vedere un po' di negozi con articoli
tradizionali in puro stile storico kyotese.
C'e' il negozio con gli asciugamani tipici giapponesi, che
sono lunghi e stretti e servono per lavarsi, molti con
motivi decorativi tradizionali.
C'e' poi quello che istantaneamente focalizza la mia
attenzione ed e' quello dei GETA.
I geta sono i sandali o zoccoli giapponesi tipici, quelli
infradito fatti di legno, squadratissimi che per suola
hanno 2 pezzi di legno posti in maniera arretrata sulla
pianta del piede e alti non meno di 3cm.
Sono i classici zoccoli che si vedono nei cartoni animati e
tutte le volte che li vedo penso "cazzo, esistono
veramente", e' inutile, potro' vederli 1000 volte e tutte
le volte pensero' la stessa cosa.
I GETA sono assurdi, solo un genio poteva concepire una
calzatura del genere e ovviamente quel genio e' nato in
Giappone.
Ci sono tutta una serie di varianti di geta, quelli
maschili sono squadrati e larghi, quelli femminili sono
arrotondati e stretti quel poco che basta a costringere la
donna giapponese che indossa i geta ad avere il mignolo del
piede fuori dalla base del geta, un dettaglio non da poco,
soprattutto per un feticista come me.
Il piede delle giapponesi che indossano i geta assumono una
posizione assolutamente stupenda e fanno capire che chi ha
deciso quale fosse lo standard del geta non poteva che
essere una assoluto feticista del piede e io lo stimo
moltissimo.
Il geta ha un'ulteriore variante ed e' a 1 listello solo
sulla pianta del piede, c'e' da chiedersi come sia
possibile camminarci sopra, io non ho provato ma so' gia'
che puo' funzionare, ormai la mia fiducia sui mezzi
nipponici e' totale, comunque sia, questa variante "mono"
serve per camminare in montagna.
Se mai andro' in montagna, mi attrezzero' con questo tipo
di geta.
I geta moderni hanno perso i due listelli per guadagnare
una base in materiale plastico leggero che copre tutta la
pianta della calzatura, non e' piu' piattissimo ma presenta
una curvatura e la suola e' imbananata per conferire al
geta lo stesso tipo di reazione alla camminata che dava il
geta tradizionale.
Yukiko mi ha regalato un paio di geta moderni e io non ho
potuto evitare di mettermeli subito.
I primi 50 minuti sono stati una tragedia ortopedica, con
me che cercavo di dissimulare un andamento incerto e a
tratti grottesco, non capivo quale dovesse essere la mia
posizione ottimale, finche' non ho pensato all'andamento
dei samurai.
Fieri ed impettiti, i samurai camminavano in posizione
eretta, sembrava quasi che procedessero su di un tapis
roulant.
Decido di smettere di arrancare ed spostare il mio
baricentro 2 metri sopra la mia testa.
Funziona.
In questa posizione la curvatura della suola del geta
genera una sorta di camminata automatica, lo sforzo e' ai
minimi termini, si cammina quasi per inerzia.
"Sono dei geni...sono dei maledetti geni".
Torniamo ai box deposito per capire se da ora in poi il mio
fardello consistera' in una chiavetta di ferro o nei cari
vecchi zaini.
Inutile dirlo, continuero' a sudare trascinando ghisa.
Raggiungiamo il punto d'incontro con Hatch e Satoko e qui
mi rendo conto di quanto storica sia Kyoto rispetto ad una
qualsiasi altra citta' giapponese da me visitata.
Siamo all'albergo, dopo il rito classico del check in,
l'addetto ci indica un guardaroba colmo di Yukata, il 98%
femminili e 2% maschili, il che significa che Yukiko poteva
scegliere tra 98 tipi diversi mentre io tra 2 tipi, dei
quali 1 taglia M e uno XL.
Fortunatamente l'XL aveva tutta l'aria di un pigiama mentre
l'M in tonalita' blu scuro con piccole linee verticali nere
(tipo gessato) poteva anche fare al caso mio.
Prendiamo un modello a testa, sono compresi nel prezzo.
Il tipo ci informa che nel caso Yukiko avesse bisogno di
aiuto per indossarelo yukata, una addetta sarebbe salita in
camera con tutto l'occorrente per la vestizione.
L'hotel e' attrezzato con "internetto" in stanza, tutto
compreso nei 50€ totali di prezzo (25€ a testa).
Saliamo, lasciamo le borse e torniamo di sotto.
Via, la giornata prevede una sosta pranzo e la visita alla
CINECITTA' giapponese.
Penso che ormai tutti i giapponesi abbiano capito che alla
domanda "cosa vuoi mangiare? preferisci sushi, ramen o
udon?" sia automatica la mia risposta "UDON!!!".
Siccome Hatch e Satop sono molto perspicaci, Hatch ci porta
in un ristorante specializzato in UDON.
Gli udon sono quei tipici spaghetti di riso giapponesi che
pero' non hanno per niente l'aspetto dei nostri spaghetti.
Sono piu' lunghi, la sezione e' quadrata e nella forma sono
molto irregolari, il che conferisce all'udon un che di
"fatto a mano", ma sicuramente c'e' una macchina che in
automatico conferisce all'udon l'effetto "fatto a mano".
Il diametro di un UDON e' di circa 3 o 4 millimetri,
essendo fatto di riso e' abbastanza gommoso e, una volta
afferrato con le bacchette e sollevato, prende vita.
Mangiare gli udon e' una delle esperienze nipponiche che ti
segnano profondamente, ma mai profondamente quanto vedere
un giapponese che lo fa.
Ti rendi conto che in zona c'e' un giapponese che mangia
udon da svariati metri di distanza, questo e' dovuto al
classico rumore di risucchio sconsiderato che il giapponese
produce mentre mangia.
Chi non ricorda le scene di Lamu' dove Ataru mangiava
avidamente con la bocca spalancata "quella specie di
spaghetti bianchi"? io ce le ho stampate in mente, dopo gli
onigiri vengono "quella specie di spaghetti bianchi".
Ok, ora "quella specie di spaghetti bianchi" ha un nome:
UDON.
I nipponici non si soffiano il naso in pubblico perche'
ritengono il rumore grossolano, maleducato e volgare, ma
mangiano gli UDON producendo un rumore di risucchio assurdo
capace di scandalizzare il piu' navigato degli occidentali,
me compreso.
Ma ovviamente c'e' un motivo e non lo si scopre finche' non
si prova a mangiare un bel piatto di udon con le bacchette.
L'occidentale sprovveduto che approccia un piatto di udon
per la prima volta (faccio finta di non essere io) pensa
che tutto quel casino sia grossolano, maleducato, volgare e
totalmente inutile.
Ovviamente l'occidentale sprovveduto che approccia un
piatto di udon per la prima volta non ha capito un cazzo
della vita.
Gli udon possono essere consumati caldi o freddi, se si
prendono freddi vengono serviti a parte contornati di
cubetti di ghiaccio con una ciotola contenente un brodino
non identificato (spesso a base di pesce e salse varie)
nella quale intingere gli udon prima di mangiarli, tale
brodino lo si puo' condire con cipolla tagliata a
pezzettini, nello specifico la parte di porotto che noi
occidentali buttiamo via, quella verde per capirci...quindi
un'altra cosa che i giapponesi fanno al contrario e'
mangiare il porotto, da condire con salsa WASABI a
piacimento.
Il wasabi, come lo zenzero, e' una salsa che la prima volta
che si assaggia causa la morte cerebrale istantanea, una
volta rianimati non si puo' piu' vivere senza.
Mangiare un quarto di cucchiaio da caffe' di wasabi e' un
po' come dare un morso ad un concentrato di 1000 cipolle,
il sapore non c'entra niente ma la reazione e' simile,
anche se non paragonabile.
Una volta al ristorante giapponese ovviamente gestito da
cinesi in Italia, e' scattata la sfida: mangiare una noce
di wasabi, la regola principale era che non si poteva
mandare giu' intera, bisognava spalmarsela bene su tutta la
lingua, mostrare agli sfidanti la lingua verde e
successivamente inghiottire il tutto.
L'unico che ha accettato e portato a termine la sfida e'
stato Giorgio (Zattoni, il nostrano campione di skateboard)
e devo dire che il vero obiettivo della serata era far
mangiare una noce di WASABI a Giorgio.
Ho visto Giorgio volare a 8 metri dal suolo con lo skate
facendo capriole e manovre assurde, ho visto Giorgio fare
voli di 15 metri a 15 metri dal suolo con la moto da cross,
ma l'unica volta da quanto lo conosco (e sono ormai 20
anni) nella quale ho temuto per la sua vita e' stato quella
sera al ristorante giapponese.
Li' ho pensato "cazzo questa volta abbiamo esagerato".
Giorgio, inghiottendo la noce di wasabi non ha fatto una
piega, non ha fatto espressioni contorte, gli si e'
opacizzato lo sguardo fissandosi al miglio e ha dato una
serie di 3 colpi di tosse secchissimi.
Gli sono uscite solo due parole in un tono di voce che era
di tutti tranne che suo: "cazzo".
E di li' a poco: "peso".
Lo zenzero e' servito a piacimento in "sfogli", la prima
volta che l'ho mangiato ho pensato che in realta' fosse del
GLED ASSORBIODORI e da bravo pirla, senza averlo capito, me
lo fossi mangiato, l'equivalente di andare in un ristorante
figo e addentare la candela pensando di cominciare con un
bel pinzimonio.
In realta' no, lo zenzero e' proprio cosi' e anche questo
causa la dipendenza assoluta, tanto che spero di non
incrociare mai piu' un GLED ASSORBIODORI (o una candela in
un ristorante figo).
Bene, tornando agli UDON, l'udon puo' anche essere
consumato caldo, in questo caso viene servito direttamente
nel suo brodo gia' completo di condimenti e accessori.
Il mio approccio all'assunzione di udon e' stato tragico.
Innanzi tutto mangiare gli udon con le bacchette comporta
che sia impossibile fare quello che si fa normalmente con
gli spaghetti e la forchetta, cioe' arrotolarli a mangiarli
in un sol boccone.
No, si prende quella che si pensa sia la giusta dose di
udon, che regolarmente si rivela troppa o troppo poca, e la
si solleva per intingerla nella ciotola, qui si ha la
visione d'insieme di quello che e' il nemico in tutta la
sua magnificenza, l'udon prende vita e comincia a dare
sferzate inconsulte, come piccole anguille di riso
tarantolate.
Domata la dose si cerca di annegarla nella ciotola,
sfruttando questo momento per riposarsi un attimo e,
avvicinando la ciotola alla bocca (in puro stile Ataru
Moroboshi) si comincia a convogliare l'udon in bocca stando
molto attenti a non produrre alcun rumore tutto questo
abbinato ad un piccolo inevitabile risucchio.
Il fallimento di una sola delle due operazioni porta l'udon
a tuffarsi inesorabilmente nella ciotola tra mille sbruffi,
che finche' sono freddi tutto bene, quando sono caldi e'
tutto un altro paio di maniche.
L'unico risultato di tutta questa sudata operazione e' che,
nella remota ipotesi che si arrivi ad una conclusione,
l'udon ha punito lo sprovveduto occidentale frustandogli la
faccia e lasciando sciabolate di brodo ovunque, da orecchio
a orecchio, da fronte a collo.
Esiste solo un modo per mangiare gli udon senza fare fatica
e senza sbrodolarsi ed e' esattamente come faceva Ataru
Moroboshi e come fanno tutti i giapponesi: facendo un
casino immane.
1) Tenere aperta la bocca sulla ciotola con brodo e udon
2) Espellere tutta l'aria che si ha nei polmoni
3) Pinzare con le bacchete una quantita' di udon e
avvicinarla alla bocca
4) Attiva l'idrovora producendo il maggior rumore possibile
immaginabile senza MAI chiudere la bocca
5) Una volta entrato l'ultimo millimetro di UDON chiudere i
boccaporti e assaporare.
Piu' casino si fa, piu' i giapponesi commensali ti
guarderanno soddisfatti come a dire "buono eh?".
Usciamo, sazi e con le orecchie che fischiano ci dirigiamo
alla CINECITTA' GIAPPONESE DI KYOTO.
In quella che sara' una delle piu' grandi delusioni di
tutto il viaggio.
Da fuori la biglietteria sembra quella di un cinema, dentro
si preannunciano spettacoli con fumi e raggi laser, poster
di film piu' o meno celebri, dall'horror alla yakuza
passando dal samurai.
Il prezzo e' scandalosamente alto, tipo 1800yen (12euro),
ma se lo spettacolo vale, ormai siamo qua, non sia mai che
un giorno nella vita mi penta di non essere entrato.
Una volta dentro vedo ne' piu' ne' meno quello che ho visto
fuori, la riproduzione di una citta' del Giappone del
passato, il bello e' che fuori da qua mi sembrava tutto
piu' finto che qua dentro, quindi camminiamo tra queste
finte casette in legno mentre Hatch leggendo i vari
cartelli annuncia che tipo di abitazione era questa:
"questa era una banca", "questo un ristorante", "questa la
casa di una famiglia povera"...a me sembrano tutte
esattamente uguali.
Ad un certo punto vediamo un assembramento di persone, ci
dirigiamo la' e scopriamo che stanno girando un film o un
telefilm o, mi viene il dubbio, forse e' tutta una messa in
scena per dare un minimo di credibilita' a questo posto.
E' un caldo bastardo e siamo al sole, non c'e' traccia
d'ombra nel raggio di 100 finti set cinematografici.
Quello che vediamo e' una specie di regolamento di conti,
ci sono 3 samurai che chiamano uno dentro la casa, il tutto
si svolge di fronte ad un piccolo laghetto, questo esce e
spara due katanate ai samurai i quali decedono tra urla e
rantolii.
Ad un certo punto entra in scena uno vestito normalmente,
con giacca e cravatta e dice qualcosa, il protagonista si
gira verso di lui: "KATTO, KATTOOOO" urla il registra
all'ombra dell'unico ombrellone presente in tutta Kyoto
("KATTO" e' la giapponesizzazione di "CUT", cioe' "TAGLIA"
o "STOP", fine della ripresa).
20 minuti di agonia li' al sole, Yukiko mi informa che tra
i presenti sul set c'e' un giovane attore piuttosto famoso
in Giappone che assiste alle riprese, mi chiedo se qualcuno
l'abbia pagato per stare li' a guardare la finta scena di
finta ripresa in finta citta' cinematografica.
Proseguiamo il nostro giro turistico, sotto il sole cocente
sembra tutto un po' piu' desolato, finche' non passiamo di
fianco ad un turbinio di assistenti che corrono a destra,
sinistra, avanti e indietro con in mano parrucche o parti
di costumi d'epoca.
Ci troviamo di fronte a quella che e' la maggiore
attrazione di tutto il CINECITTA': "FAI LA FOTO
TRAVESTITO".
A quanto pare, dopo il karaoke, la seconda passione dei
giapponesi e' fotografarsi in costume.
Qui la scelta e' piuttosto ampia, si va dal samurai al
ninja, dal signorotto alla geisha, ma i piu' gettonati,
ovviamente, sono ninja, samurai e geishe.
Ci sono due tipi di foto, mezzobusto o figura intera.
Il figura intera costa spropositatamente di piu' del
mezzobusto e non ci vedo tutto questo sbattimento in meno
nel preparare un mezzobusto rispetto ad un figura intera.
Il malcapitato giapponese che decide di farsi la foto in
costume evidentemente non e' attento a quello che sta
succedendo a chi, prima di lui, ha commesso lo stesso
errore.
Il malcapitato giapponese viene innanzitutto annientato
nella personalita', da subito gli viene intimato di
togliersi scarpe e vestiti, il giapponese, che non ha
problemi di nudismo essendo abituato al bagno pubblico fin
dalla piu' tenera' eta', esegue tutto per filo e per segno
con sguardo imbambolato.
Il malcapitato giapponese che ho di fronte dice "Ninja" e
gli si stampa in faccia un sorriso ebete che manterra'
inalterato per tutta la durata del trattamento.
Subito le assistenti del fotografo che, a giudicare da come
maltratta i malcapitati giapponesi di fronte al suo
presettato obiettivo, ODIA il suo lavoro.
La parola d'ordine e' "UNO VIA L'ALTRO", il sensore non fa
in tempo ad impressionarsi con l'immagine dell'inebetito
samurai, del piu' improbabile dei ninjia e della meno
sensuale geisha che eccolo gia' li' in mutande pronto per
tornare alla sua quotidiana vita di studente, disoccupato o
impiegata.
Satop mi chiede "vuoi fare una foto vestito da ninjia?" e
Il mio sguardo allucinato misto terrorizzato e' abbastanza
internazionale per essere capito anche senza sottotitoli.
Hatch ha la tabella di marcia e tiene d'occhio l'orologio,
tanto che ad un certo punto ci troviamo seduti di fronte ad
una piccola casa finta giapponese, assieme a noi si
raggruppano una ventina di visitatori.
Esce un samurai vestito da samurai e dice qualcosa al
pubblico, applauso, io applaudo fingendomi divertito.
La scena consiste in questo:
Il samurai entra in casa, arrivano altri due samurai
vestiti praticamente uguale ma piu' scuri, in pratica un
incrocio tra un samurai e un ninjia, volano una serie di
minacce in giapponese (questo lo capisco dal tono
minaccioso tipico delle minacce) e scatta il duello.
Sopravvivera' solo il samurai, gli altri due moriranno in
sequenza, uno in maniera abbastanza sommessa e l'altro
sbraitando sofferente tra mille stenti, agonizzando tra una
smorfia e l'altra.
A seguire prenderanno 4 cavie dal pubblico, 3 piccoli
bambini e un'adolescente ai quali faranno fare la vece del
samurai vincente, impartendo i primi rudimenti di quello
che suppongo abbiano presentato come "l'arte della
recitazione".
Il fenomeno strano e' come tutti, ma proprio TUTTI, siano
rimasti a guardare i 4 che ripetevano la stessa identica
scena.
Deve essere uno dei risvolti della famosa cordialita'
giapponese.
Proseguiamo oltre, ma molto oltre, talmente oltre che siamo
quasi verso la fine del giro..finche' non incappiamo di
fronte a quella che mi annunciano come "LA CASA DEGLI
ORRORI", quella con "la fantasma giapponese".
Io nutro un profondo rispetto per l'orrore, talmente
profondo che spesso e volentieri cerco di evitare queste
cose proprio perche' i confini tra orrore e patetico,
demenziale, ridicolo e scandaloso sono talmente vicini da
lasciare un margine d'azione fin troppo stretto.
L'ho capito quando avevo 8 anni e volevo fare una
rappresentazione raccapricciante e orrorifica con dei
pupazzetti dentro una cassetta di legno.
L'obiettivo era creare una scatola che, una volta aperta,
terrorizzasse chi ci guardava dentro.
Ovviamente non ho superato la verniciatura della lampadina
che doveva illuminare il "grand guignol" in miniatura.
Se l'ho capito io a 7 anni, mi chiedo come sia possibile
che ci sia gente che, in eta' piuttosto avanzata, non
realizzi l'immensa cazzata che ha creato.
Ma sto divagando.
Passano i minuti mentre cerchiamo di capire se vale la pena
lasciargli 4 ulteriori euro ed entrare o proseguire oltre.
La scelta, come sempre sbagliatissima, ci trova piu'
leggeri di 4euro a camminare nel buio di una stanza.
Yukiko e' l'unica ad avere quel minimo di lucidita' che le
permette di rimanere seduta sulla panchina fuori, all'ombra
di un grande albero giapponese.
Nel buio un video ci ammonisce: NIENTE FOTO E NIENTE VIDEO!
NON TOCCATE NIENTE! SEGUITE IL PERCORSO E CERCATE DI
SOPRAVVIVERE ALLA PAURA! (traduzione di Hatch, ndr)
Io apro la strada, Hatch e Satop mi seguono.
Quello che comincia a intravedersi e' un paesaggio antico
giapponese, tanto per cambiare, lasciato all'abbandono, i
suoni sono quelli tipici del film horror, rumore di vento
tra le porte, porte che sbattono, risatine sadiche in
lontananza, il cliche' dell'orrore.
Passiamo tra porte che tutto ad un tratto cominciano a
sbattere freneticamente, soffioni boraciferi e manichini
menomati semovibili che fanno tutto tranne che paura,
finche' non giriamo un angolo (uno degli ultimi,
fortunatamente, ndr) e ci troviamo di fronte una specie di
geisha vestita di stracci bianchi.
Ella sta a capo chino e la folta chioma di finti capelli
bianchi le copre il viso.
Io suppongo subito che si tratti di una persona vera, ma
una parte di me prega che non sia vero per abbandonare
definitivamente quella sensazione di imbarazzo per
quell'ipotetico poveraccio che deve stare tutto il giorno
li', vestito come un pirla, ad aspettare che passi qualcuno
per fargli paura.
Mi piego per vedere che faccia abbia mentre Hatch e Satop
proseguono passandole di fianco.
Costei si rivela una "poveraccia" in carne ed ossa che
stava li' schiava del colpo della strega ad aspettare che
qualcuno le passasse di fianco, proprio come stavano
facendo in quel momento Hatch e Satop ed ecco che tutto ad
un tratto si anima in un urlo sbracciando verso di loro.
La scena si blocca nella mia mente in 4 istantanee:
1) La fantasma giapponese si lussa le spalle urlando.
2) Hatch si sloga il collo nell'inclinare la testa
all'indietro troppo velocemente ridendo per quanto sta
accadendo.
3) Satop si rifugia in mezzo alla schiena di Hatch facendo
eco all'urlo del finto fantasma.
4) Io sconsolato chiudo gli occhi pensando "oh...no...e'
tutta colpa mia" e mi scuso mentalmente con la finta
fantasma giapponese.
Nel giro di sbracciate, colli rotti e urla, io rimango
dietro la fantasma e sono costretto ad uno scatto felino
per non intralciare il suo rientro nel timore di farle
paura urtandola.
E' In questi momenti vorrei poter parlare giapponese e
redimere la fantasma, prevedendo la mia uscita trionfante
con lei che, una volta fuori, butta la parrucca e i finti
stracci nel bidone, pronta per una nuova vita.
Un flashback mi riporta a quando andai a Londra troppi anni
fa e nei finti sotterranei di quello che era un Museo delle
cere dell'orrore, a tratti si vedevano branchi di
visitatori correre qua e la' urlando in preda ad una sorta
di isteria collettiva.
Era tutta colpa di un finto Frankenstein.
Ad un certo punto il Frankenstein si e' avvicinato al
nostro gruppo e mi sono ritrovato isolato di fronte ad un
abbontante uomo di 2metri circa.
L'unica cosa che ho potuto fare e' stata dargli la mano in
segno di amicizia e cordoglio, notando la sua gommosa
stretta di mano con finte cicatrici sopra.
Siamo quasi fuori dal delirio che sentiamo un altro urlo
della fantasma e una bambina che comincia a singhiozzare,
mi giro e vedo un turista che tiene sotto braccio quella
che dovrebbe essere la figlia.
"beh, alla fine a qualcuno fa anche paura...a meno che non
pianga per compassione...".
FInalmente la luce, penso che non baratterei la mia fatica
nel dire a qualcuno che tipo di lavoro faccio con il
potergli semplicemente dire "spavento la gente nella casa
degli orrori del cinecitta' di Kyoto" e ci allontaniamo
dalla casa dei 4euro.
Siamo nel finalone, il negozio con i souvenir e la zona
cimeli cinematografici.
Qui vedo anche i pupazzetti di uno dei telefilm che piu' mi
prendevano quando ero piccolo, quello di ITO OGAMI che
spinge la carrozzina in legno con il figlioletto dentro
piena di stratagemmi bellici: un tuffo al cuore.
Poco tempo dopo scopro che in televisione, qua in giappone,
c'e' una nuova serie di Ito Ogami, un remake del classico
in bianco e nero.
Vuoi che con tutte le cagate di telefilm che passano da noi
non possano passare anche questa??
Ovviamente no.
Poco prima dell'uscita totale colgo l'ultima occasione che
ho per immortalarmi al fianco di un samurai, riguardando
poi la foto mi rendo conto che effettivamente potrei
spacciarmi per suo fratello.
Usciamo e il fatto che nessuno commenti la visita appena
fatta e' sintomatico dell' indice di gradimento.
Siamo diretti ad un negozio per attrezzature edili
giapponese, quello che da noi e' un classico negozio anti
infortunistica e quello che da noi e' il tipo di negozio da
me preferito.
Quello che cerchiamo e' il TABI, la calzatura ninjia che
usano i muratori giapponesi, alla faccia dell'anti
infortunistica.
Il tabi e' poco meno consistente di una "all star" ma, a
quanto pare, va per la maggiore tra i muratori nipponici.
Questo inverno ne avevo comprati un paio, ma per chissa'
quale motivo, probabilmente mi si era congelata quella
parte di cervello, li avevo presi BIANCHI ben sapendo che
c'erano anche neri.
Ora il mio obiettivo e' comprarne un paio NERI da poter
indossare nella vita quotidiana.
Al negozio per muratori c'e' tutto, bellissimi caschetti in
plastica da cantiere, roba che anche uno svedese,
indossandoli, potrebbe essere scambiato per un giapponese.
C'e' tutto, si', tutto tranne i TABI NERI, ovviamente.
Compro un souvenir per Patrick e Silvia, un piccolo yukata
per neonati, visto che stanno per procreare ed esco
sconsolato.
Sono due i maggiori deterrenti all'acquisto mentre si e' in
viaggio:
1) Il volume.
2) Il peso.
Qualsiasi cosa compri, devi fare i conti con il tapis
roulant della morte, quello che appena appoggerai il tuo
trolley al check in, fara' lampeggiare il tuo sovrappeso di
minimo 8Kg sui 20Kg massimi consentiti, nonostante tu non
abbia comprato praticamente niente.
Che si fa?
Andiamo alla sala giochi!
Prima di entrare in sala giochi, mi si chiede se sono
interessato a vedere il PACHINKO da vicino.
Ovviamente la mia risposta e' affermativa.
Voglio capire cos'e' che tiene incollati milioni di
giapponesi di fronte ad una pallina che rimbalza dall'alto
verso il basso per ore e ore e ore.
Cosi' entriamo in un PACHINKO.
Il locale dove c'e' il pachinko e' qualcosa di umanamente
inaccettabile.
Il primo fattore che va contro ogni regola di sopravvivenza
e' il frastuono.
Centinaia di macchinette che suonano a volumi disumani e
che lanciano palline in ferro con la rapidita' di una
mitragliatrice UZI di ultima generazione,
Il secondo fattore e' il puzzo di fumo allucinante.
Gia' i nipponici sono piuttosto tabagisti, figuriamoci dei
nipponici che sono in pressione psicologica assoluta mentre
osservano il loro sudato stipendio svanire pallina dopo
pallina.
C'e' un obiettivo nel gioco ed e', tramite una manopola
rotante, correggere l'arco di tiro per permettere alla
pallina di rimbalzare dritta in un buco in basso al centro,
permettendo alla scena del film o cartone animato che vi e'
associato di proseguire.
Piu' si prosegue con il film e piu' si vince...cioe', piu'
si vincono altre palline da reinserire nell'uzi camuffato e
rimitragliare sul tabellone verticale.
Ai piedi di alcuni giocatori vedo pile di cassette piene di
palline, Hatch mi dice che una sola di quelle cassette vale
circa 70euro (10.000yen) e a giudicare dalle pile di alcuni
giocatori, questi si stanno spendendo lo stipendio di 4
generazioni a venire.
Satoko parte, mette 500yen e riceve in cambio una manciata
di palline.
Le mette nel caricatore e parte la sceneggiata.
TATATATATATATATATATATATA su 10 palline 1 va in buca, ma la
proporzione e' spesso tradita.
Ad un certo punto, non si sa per quale motivo, Satoko
riceve un piccolo contentino di palline di ferro, subito
nel calderone delle sparate e si prosegue.
Il gioco finisce.
Satoko si alza e proclama la sua sconfitta.
Per tutto il tempo ho inutilmente cercato di capire cosa
cazzo stesse succedendo, facendo domande, gesticolando,
disperandomi, ma nessuno mi ha dato una risposta
esauriente.
Cosi' decido di buttare via 500yen (3,5euro) e capire sulla
mia pelle quale sia la dinamica di gioco.
Manciata di palline per me.
Afferro la manopola per capire, 3 secondi dopo, che questa
non ha alcun influsso sul gioco, contrariamente a quanto
possano pensare 1203901923019 giapponesi che giocano a
pachinko.
27 secondi dopo ho finito la mia scorta di palline.
Resto in silenzio a fissare il tabellone che pare dirmi
"embeh? cazzo vuoi ancora? e' finito..non c'hai capito un
cazzo eh? cretino di un turista gaijino, lascia perdere il
pachinko non e' roba per profani come te!".
Forse dovrei mettere altri 500yen per capire bene come
funziona.
Fortunatamente non sono solo e c'e' gia' chi e' sulla via
dell'uscita prima che io sia sulla via di altri 3,5euro.
Esco anche io mentre nella mia retina e' rimasto impresso
il tabellone del pachinko, continuo a chiedermi cosa sia
successo, cosa fosse quella roba e soprattutto: perche'?
Forse e' qui la chiave del seguito furibondo che ha il
pachinko in giappone, anche i giapponesi non hanno capito
di che cosa si tratti e continuano imperterriti a giocarci
nella speranza di avere l'illuminazione.
Del resto lo zen l'hanno inventato loro, la meditazione con
annessi e connessi, capisco che questa gente non gioca, in
realta' medita sul funzionamento di questo gioco e come
dargli torto quando sappiamo bene che "la chiave
dell'illuminazione e' non smettere mai?"
Usciamo e ci rendiamo conto che c'e' solo una cosa peggiore
del puzzo di fumo che c'era dentro: il puzzo di fumo che
abbiamo addosso.
Siamo fuori e ci rendiamo conto che c'e' solo una cosa
peggiore del frastuono che c'era dentro: il fischio che
producono le nostre orecchie.
Salagiochi!
E' la fiera del cabinato, le simulazioni si perdono a vista
d'occhio.
Io vedo subito un pallone legato ad una corda e una
microporta nella quale tirare pallonate.
Scopo del gioco e' spallonare al massimo delle proprie
capacita'.
Sono italiano, abbiamo vinto i mondiali, e' il mio gioco.
La potenza del mio tiro e' inversamente proporzionale al
sudore che questo gioco mi fa produrre e, come sempre in
questi casi, il gioco NON FINISCE MAI.
Hatch azzarda ancora di piu' e comincia a giocare al gioco
di ROCKY JOE, esatto, quello del cartone animato.
Indossi un paio di guanti di gomma e devi colpire dei
bersagli che si attivano di volta in volta in sequenze piu'
o meno veloci.
E' contemplata anche la difesa nell'atletico gesto di
accovacciarsi per uscire dal campo visivo del sensore,
penalita' un bel cartone nei denti a Rocky Joe (del quale
stai facendo le veci).
Godo nel vedere come Hatch stia sudando piu' di me,
nonstante il suo sudare mi risulti piu' dignitoso del mio.
Satop la fa da spettatrice in tutti i casi e Yukiko decide
di cimentarsi in un test dell'equilibrio.
C'e' una simulazione di tavola da skate e sei vincente se
riesci a tenerti in equilibrio su di essa.
Niente di piu' facile, penso.
Niente di piu' sbagliato, in realta'.
Tempo di gioco di Yukiko: 2 secondi.
Alche' decido di capire come sia possibile che sia durata
cosi' poco.
Salgo e scopro l'arcano: c'e' qualcosa che fa sbilanciare
la tavola, e' quasi impercettibile, ma c'e'.
E' una truffa.
Ping Pong o biliardo?
Ping Pong.
Partita: vincono Hatch e Satop
Rivincita: vinciamo io e Yukiko
Bella: fanculo maledetti giapponesi che tengono la
racchetta al contrario!
Usciamo che e' tempo di cenare: let's go to the KAITEN
SUSHI!
Penso di aver gia' ampiamente parlato del KAITEN SUSHI,
ebbene, tutti quelli che avevo visto fino ad ora erano
delle miniature di questo.
E' come quelli che stanno a giocare tutta la vita con i
trenini lima finche' un bel giorno il nonno non li porta a
vedere i treni veri.
Eccoli qua i treni veri e il capolinea e' la mia pancia.
Si, siamo abbastanza stanchi, e' giunto il momento di
volgere lo sguardo al guanciale.
Torniamo a casa.
Il programma del domani prevede una bella gita su per la
montagna.
La mattina sale in camera una inserviente con qualche pezzo
mancante per comporre completamente la vestizione "yukata"
di Yukiko.
La donna che deve indossare lo yukata necessita di una
infinita pazienza e, ancor piu' importante, un'altra che la
aiuti.
Per quanto semplice e minimale possa sembrare uno yukata,
la sua preparazione e' esattamente il contrario di quanto
si possa immaginare, cioe' un delirio.
In effetti, lo yukata in se' non e' complicato, in sostanza
e' un accappatoio piu' raffinato (ho detto la cazzata)
quello che piu' incasina l'assemblaggio sono tutta una
serie di "rinforzi" che, una volta posizionati a dovere,
danno allo yukata una rigidita' e una compostezza unici.
Tralascio questa parte e passo subito al peggio: annodare
l'obi.
Ho visto persone piangere per un nodo alla cravatta,
sfibrare la seta del "cappio elegante" cercando di
sistemare ripetutamente il maledetto nodo.
Ebbene, il nodo alla cravatta, in confronto al piu'
semplice dei nodi per obi e' nulla, e' come paragonare
l'aeroplanino (quello basic) di carta all'origami del DNA
umano.
Ora, io non so a quale livello fosse l'inserviente che e'
venuta ad aiutare Yukiko, io ho cercato di memorizzare alla
perfezione tutto il procedimento ma non c'e' stato verso.
Questa avra' fatto e disfatto il nodo almeno 5 volte
scusandosi almeno 10 volte.
Alla fine, tutto ad un tratto, quando meno me lo sono
aspettato, il che coincide alla perfezione con il quando mi
sono distratto un attimo, il nodo (obi) era perfettamente
confezionato.
Evidentemente, prerogativa della buona riuscita di un obi
e' che io mi distragga mentre lo si sta facendo.
Ed eccola li', la caramellina Yukiko.
A questo punto devo "yukatarmi" anche io per non fare la
figura del guastafeste.
Memore dei turisti che ho visto in giro in yukata, avrei
preferito evitare, e' palese che SOLO i giapponesi stiano
bene in yukata, data la loro conformazione fisica della
quale piu' volte ho discusso assieme a Marco, abbiamo
infine convenuto che i giapponesi sono bidimensionali,
cioe' non hanno spessore, di fronte e da dietro sono
ottimamente piazzati, spalle larghe che scendono in una
possente schiena a V con gambe nella maggior parte dei casi
cortissime, ma che nel complesso bilanciano la loro figura
dando un non so che di esotico al portamento (non so
neanche cosa sto dicendo), tuttavia, se ruotiamo di 90
gradi un giapponese, esso scomparira'.
La qual cosa e' perfettamente abbinabile al concetto
dell'origami, del resto un origami e' quasi sempre
bidimensionale.
Ebbene, se metti qualcosa che prevede bidimensionalita' ad
un occidentale, che in confronto figura come un
volgarissimo botolo, otterrai la tristissima caricatura di
un giapponese o, detta in altre parole: un occidentale, il
piu' delle volte obeso, in pigiama/accappatoio.
Ecco, io volevo evitarmi questa figura da vacanziero
travestito, ma ormai avevo detto che l'avrei fatto e cosi'
eccomi mentre controllo il tutto allo specchio.
Tutto sommato non faccio neanche troppo schifo,
fortunatamente non sono obeso, ma non sono neanche
bidimensionale, data la cassa toracica stile bianco
caucasico, ma non pago di cio' decido di dare un tocco
"moda" al tutto abbinandolo al mio paio di adidas bianche
con righe nere acquistate appositamente per il viaggio e
che pare non stonino piu' di tanto, dato che il mio yukata
e' abbastanza scuro.
Devo sicuramente fare l'effetto di Beruschi in DRIVE IN,
giacca e cravatta con scarpe da ginnastica, non ho mai
capito se fosse un genio della moda o uno sfigato.
La prima cosa che noto dello yukata e' l'estrema freschezza
che regala, ma in questo momento non fa testo, dato che
siamo ancora in albergo sotto l'influsso dell'aria
condizionata, ma ormai do' piena fiducia ai mezzi nipponici
e ritengo che non deludera' certamente le mie aspettative.
Ed infatti, non le deludera', no, veramente, questa volta
non le delude, esco fuori, con un caldo bastardo e niente,
sto fresco, tatticissime sono alcune cuciture fatte in modo
che possa passarci l'aria attraverso, questo lungo
l'attaccatura delle braccia, vedi ascelle.
Il pantalone e' largo e la stoffa rigida quanto basta per
non farla aderire alla pelle, agevolando anche in questo
caso il circolo dell'aria.
In sostanza lo yukata per il maschio e' una gran bazza ed
e' esattamente il contrario di quello per la donna, infatti
Yukiko soffrira' il caldo infernale.
Step 1: treno per una fermata in localita' quasi montagnosa
Step 2: li' incontreremo Satop e Hatch i quali ci
accompagneranno
Step 3: in autobus ancora piu' su' dove ci aspettera' un
pranzo sul fiume
Io sono ignaro di quel che ci aspettera', so solo che se
speravo di trovare refrigerio nelle luminose vette di
Kyoto, mi sbagliavo con un ampio margine di tolleranza.
Capolinea, scendiamo e ci incamminiamo in salita.
La strada prevede ben poche variazioni sul tema, a meno che
uno non volesse guadare il fiume sulla destra o procedere
alla ninjia saltando di tetto in tetto lungo tutti i
ristorantini/negozietti dal lato opposto del fiume.
Optiamo tutti per la turistica striscia d'asfalto
sbirciando i vari menu' con prezziari da delirio.
Certo, la cornice e' suggestivissima, si pranza seduti su
piccole palafitte erette a pochi centimetri dallo scorrere
del fiume, immersi nella natura e il tutto in super stile
nippo, con eserciti di cameriere in yukata perfettamente
confezionati.
Qui e' la Disneyland dello stile, qui passano direttamente
la carta di credito tra i denti di Dracula.
70euro minimo per un pranzetto neanche troppo elaborato,
arriviamo ai 150 euro e piu' per un menu' che conti almeno
3 ciotole diverse.
Vedo sfumare la possibilita' di un pranzo finche' non
arriviamo ad un localino che, per 13euro, propone uno dei
sistemi piu' divertenti del mondo.
Scendiamo sul letto del fiume per lasciare le scarpe e
salire sul pavimento sospeso a pochi centimetri dallo
scorrere frusciante dell'acqua e aspettiamo il nostro
turno.
In realta' all'inizio non capisco come mai non ci portino
da mangiare o passino a prendere le ordinazioni, ci sono
tipo 7 o 8 tavoli bassi, non apparecchiati, ai quali sono
accomodate diverse persone, ma nessuna di queste mangia.
Solo una famiglia di genitori, nonni e bambino sta
pranzando seduta di fronte al fiume, in quello che potrebbe
essere considerato il miglior posto.
Ok, capito tutto, si mangia solo li' in quella posizione e
forse e' per questo che si spende poco, perche' su 40
persone se va bene si mangia in un solo gruppo per volta,
se a pranzare sono solo coppiette, moltiplica il tempo di
un pranzo per 20, se sono dei single per 40, non resta che
pregare che quelle 16 o 17 persone prima di te siano tutti
componenti di una gita organizzata.
Ma siamo in giappone, il paese dove, se c'e' una fila, devi
stare tranquillo che non durera' mai tanto quanto una fila
in Italia, questo fino a 3 volte tanto la fila italiana.
Arriva il nostro turno e ci avviciniamo alla balaustra
superpanoramica sul fiume che scorre.
Ci viene consegnato il classico set per udon o soba freddi,
bacchette e prontipartenzavia!
Da un tubo in finto bamboo ecco che scorrono giu' dei
piccoli gomitoli di ramen detti NAGASHI, sono suddivisi in
porzioni singole in sequenze di N gomitoli per N persone
pranzanti in quel momento.
Un tapis roulant acquatico.
Questo ti tiene in un costante stato di allerta,
soprattutto se sei il primo della fila...e ovviamente il
primo della fila sono io.
C'e' da dire che ti lascia un certo margine di tolleranza
per i primi 3 passaggi, c'e' sempre chi dopo di te non si
lascera' sfuggire la dose scorrevole, ma il quarto,
l'ultimo dei 4, quello non puoi proprio lasciartelo
sfuggire.
Ed eccomi che in piu' riprese cerco di bloccare il nagashi
selvatico che, spinto dalla corrente, dribbla le mie
bacchette e si avvicina minacciosamente alla zona-Yukiko,
una volta entrato nella sua "giurisdizione" e' suo.
Mi guardo intorno per capire se non sono capitato nel
ristorante di "Giochi senza Frontiere".
Poi capisco che no, e' semplicemente l'ennesima
manifestazione dell'innata ludicita' giapponese.
Il bilancio totale e' dei migliori, su una quindicina di
passaggi, mi sono trovato impreparato solo in 5 o 6 casi.
Pensando a come avremmo fatto a capire quale fosse l'ultima
dose, immagino due o tre varianti:
1) Aspettiamo 30 minuti invano.
2) Smette di scorrere l'acqua.
3) Suona una sirena.
4) Passa un oggetto o un biglietto al posto del gomitolo di
nagashi.
La realta' supera la fantasia e passa "semplicemente" un
nagashi colorato di rosso (essendo "aromatizzato"
umeboshi).
L'esperienza e' notevolissima e supera di gran lunga quella
del KAITEN SUSHI, li' eri certo che passato un piattino ce
ne fosse un altro, mentre qui se tutti mancavano il
fantomatico gomitolo, ecco che lo vedevi allontanarsi in un
mini-rafting dopo un tuffo nell'acqua del fiume.
Nel laghetto piu' a valle devono sicuramente esserci delle
carpe amiche di Godzilla.
Il nostro giro in giostra culinario e' terminato.
Ci alziamo, ringraziamo, diamo l'ultima occhiata al rullo
acquatico e ci dirigiamo verso il tempio KIFUNE
E' collina/montagna, quindi salite e discese, l'aria non e'
abbastanza fresca e lo yukata per quanto sia un capolavoro
di comodita', non ha sistemi di condizionamento integrati.
Il tempio ci accoglie con due grandi alberi ai quali sono
appesi i desideri e gli obiettivi dei visitatori, spero per
loro che il dio di questo tempio se la cavi meglio di me
con il giapponese scritto.
Il mio voyeurismo e' frustratissimo, tutti quei desideri
appesi e non poterne spiare neanche uno.
C'e' anche il giochino "sfida la sorte e vedi se sarai
fortunato" questa volta pero' non devi pescare un bacchetto
maledetto da una scatola, devi semplicemente comprare un
foglio apparentemente bianco, privo di qualsiasi scritta e
immergerlo nella vasca d'acqua di sorgente.
Lo lasci galleggiare un po' ed ecco che miracolosamente
compaiono i caratteri premonitori.
Ora trova un giapponese disposto a tradurtelo e pensa bene
che tu non hai mai creduto in queste cose, se vuoi uscire
dal tempio Kifune con il sorriso sulle labbra.
In quasi tutti i templi che ho visitato ho visto delle gran
murate di legni verticali con scritti sopra ideogrammi.
Questo non e' da meno e decido di informarmi su che cosa
siano.
"Sono i nomi dei padroni del tempio, se paghi una cifra
puoi mettere il tuo nome sul legno e rimarra' per sempre
nel tempio".
Ci sono 2 dimensioni, almeno 10.000yen (70 euro) per quello
piccolo, che aggiunto alla murata fa' ne' piu' ne' meno
l'effetto di una goccia nell'oceano o del nome dell'addetto
ai cestini della frutta nei titoli di coda di un colossal
hollywoodiano, mentre con circa 500.000yen (ma le cifre non
sono ufficiali, puoi avere la targhetta un po' piu' grande,
circa il doppio delle altre e avere un posto d'onore piu'
in vista, insomma, non sei piu' il porta cestini della
frutta ma uno dei protagonisti.
Qua sanno sicuramente come fare leva sulla ego dei
visitatori.
Hatch, Satop e Yukiko decidono di appendere il loro
desiderio all'albero, io mi astengo, in questo momento non
ho desideri da esprimere.
Mi sembra che negli ultimi tempi si siano avverati piu' o
meno tutti e non vorrei approfittarne troppo.
Torniamo verso l'autobus che ci deve portare a valle,
nell'attesa acquisto una ramubottle, bevanda dalla
bottiglia alquanto bizzarra, a meta' del collo contiene una
pallina di vetro, della quale mi chiedo l'utilita'.
Non ha utilita', e' semplicemente decorativa e distintiva
di questa bevanda.
La pallina e' incastrata tra due strettoie e mi chiedo se
non sia mai successo a qualcuno di ritrovarsi soffocato da
una pallina divetro a causa di una bottiglia difettosa.
Dopo averla tracannata a dovere mi prodigo nell'estrazione
della pallina.
E' veramente di vetro ed e' subito
souvenir.
Passiamo da casa di Hatch per un po' di riposo
Autobus + Metro e arriviamo a valle.
Sul tragitto per la macchina di Hatch notiamo una
"GELATERIA", ci vuole proprio un bel gelato.
Da segnalare il cono QUADRATO (vedi foto) tanto da
meritarsi il nome "quadrato" stesso
medesimo.
Nessuna utilita' neanche per questa forma di cono, se non
quella di contenere una maggiore quantita' del peggior
gelato mai mangiato in Giappone.
Arriviamo a casa di Hatch, scatta il beveraggio, ci sediamo
un attimo e perdo i sensi in 4 o 5 sessioni, mi riprendo, a
tratti sudo forsennatamente, poi il ventilatore mi getta
uno sguardo e lo benedico.
Via, fine riposo, ora tutti al tempio DAITO KUJI.
Bene, pare che tale tempio sia l'equivalente dell'AREA 51
americana, non si possono assolutamente fare foto, se fai
le foto esce un ninja e ti ammazza con la tua stessa
macchina fotografica.
Prima del ninja arriva un nippo incazzato nero che ti urla
qualcosa in giapponese, nota la tua espressione e traduce
con un "NO PHOTO" che suona piu' come un "VAFFANCULO!".
Hatch riesce a fare qualche scatto, alcuni me li ha anche
spediti via mail ma me li sono persi, sara' la maledizione
del tempio.
Io faccio timidamente uno scatto ad Hatch e nel panico il
CLICK della macchina fotografica, nella quiete del tempio,
mi sembra un petardo di quelli grossi.
Temo il peggio, ma siccome c'era chi "peggio di me", io
passo inosservato.
Comunque un bellissimo tempio, forse uno dei piu' belli mai
visitati, o forse m'e' sembrato cosi' bello perche' non
potevo fotografarlo, non so, sta di fatto che se volevi un
ricordo visivo dovevi comprarti il libretto del tempio in
vendita all'uscita.
Non gli ho dato la soddisfazione.
Usciamo e facciamo una passeggiata per le vie del "centro".
Turisti come se piovesse, vedo piu' turisti a Kyoto che a
Tokyo, sara' il fascino della citta' antica o il fatto che
a Tokyo c'e' piu' da disperdersi, chissa'...
Si e' fatta sera, e' ora di cena, dopo mezz'ora di
indecisione tra il ristorante indiano e quello pakistano,
decidiamo di camminare altri 30 minuti per raggiungere
l'unico ristorante pakistano chiuso di tutta Tokyo,
Finalmente arriviamo ad un ristorante indiano.
Il Asia e soprattutto in giappone, c'e' il problema dello
spazio e quindi e' normale che un ristorante trovi sede in
un appartamento di un palazzo o condominio.
Saliamo le scale per arrivare al secondo piano e siamo
pronti per ordinare.
Un classico ristorante indiano, non fosse per un'unica
stranezza, prendo un mix di verdure varie tra le quali del
cavolfiore.
Tale cavolfiore presentava un aspetto rosso fuoco al posto
del verde giallo tipico.
Mi immagino una classica salsina indiana ma al primo
boccone si rivela essere il concentrato di anni e anni di
cucina piccante indiana.
Mi si aprono le sinapsi assieme a tutti i pori del corpo,
mantengo il controllo degli orifizi e mi abbandono alla
morte.
Passo in rassegna tutto cio' che mi circonda come fossero
le ultime istantanee della mia vita, finche' non poso gli
occhi su quello che sara'
l'unico sollievo: quella bevanda a base di yogurt
annacquato e della quale mi chiedevo precedentemente
l'utilita'.
Finiamo la cena, con l'unico inconveniente che essere
vegetariani in mezzo a carnivori e' un problema quando si
e' anche generosi: "vuoi sentire?" e tutti "si, grazie"
cosi' tutti prendono un po' del tuo ma tu non prendi un po'
del loro, loro mangiano in 3 da te e tu che dovresti
mangiare in te da 3 niente.
Torniamo all'albergo, domani si visita il tempio TOFUKUJI e
si parte per Niigata.
Suona la sveglia.
Mi doccio nell'ennesimo bagno in plexiglass e tutto bene
come al solito, ma quando vado per asciugarmi, prevedendo
di usare il trucchetto del phon per togliere la patina di
condensa dallo specchio, ecco come mi si trasforma la
giornata.
Lo specchio e' tutto appannato tranne che in un "riquadro"
proprio sopra al lavandino.
Magia, mistero...ma quanto sono avanti i giapponesi?
Guardo dietro lo specchio ma c'e' lo spazio di 1 mm e non
ri riesce a capire.
Lo tocco e in quella porzione nitida e senza condensa e'
caldo.
Che spettacolo.
Chiamo Yukiko per farle vedere il prodigio tecnologico e mi
guarda come dire "si, e' normale..."
Prepariamo tutto, io aggiorno qualcosa con l'internetto e
scendiamo.
Sono 2 giorni che siamo in questo albergo e sono almeno 4
volte che cerco di misurarmi la pressione in una
macchinetta nella hall.
Niente, non ce la faccio mai.
Questo e' l'ultimo tentativo.
Schiaccio tutti i bottoni che vedo, tutti, e tutto ad un
tratto si accende il display, pronto per la misurazione.
Inserisco il braccio e aspetto che mi esploda l'avambraccio
per la pressione, proprio quando mi rassegno
all'amputazione, il cuscino smette di gonfiarsi e
lentamente si sgonfia.
Sento i battiti cardiaci tornare a pulsare nel mio braccio
e sono libero, libero di constatare una pressione
bassissima.
Avanti cosi'.
Ultimissimo giro nella giostra di Kyoto, il tempio TOFU
KUJI, chiedere ad un nipponico come si scrive in ROMANJI un
nome giapponese e' una delle imprese piu' ardue che mi
siano mai capitate, devono assolutamente smettere ogni
attivita', poi cominciano e tu non saprai mai se e' una L o
una R, se e' una H o una Y, non ti resta che abbozzare e
tentare la sorte, cercando di indovinare.
Quindi nessuno dei nomi che ho fatto sono sicuri al 100%,
solo Marcosan puo' saperlo.
Che dire del tempio TOFU KUJI che non abbia gia' detto
durante le visite agli altri templi?
Niente.
Torniamo all'albergo a prelevare le valige ed Hatch ci
accompagna al treno per Niigata.
Saluto Hatch e Satop come se ci dovessimo rivedere tra una
settimana o qualche giorno, in effetti siamo rimasti che ci
saremmo visti poco prima del ritorno in Italia a Tokyo, ma
siccome sto scrivendo queste cose con almeno 4 mesi di
distanza, basandomi su ricordi e appunti, posso assicurare
che non ci siamo piu' visti.
Non c'e' problema, ci rivedremo a capodanno in Italia,
anche se io vorrei davvero essere a capodanno in Giappone
come l'anno scorso.
Trattengo le lacrime e passo al capitolo successivo.