Kyoto schiaccia Kyoto,
05/09.08.2006
Sullo Shinkansen apriamo i cestini che Yukiko e Satoko hanno comprato alla stazione.
Appena tirano fuori le scatole perfettamente confezionate, mi prende bene, scatoline di cibo, perfette, in legno (bambu').
Comincio il rito dello spacchettamento, stando perfettamente attento a non rovinare quel capolavoro.
Sorpresa delle sorprese, il mio non e' bambu', il mio e' quello piu' economico dei tre, 800yen invece che 1050yen come quello delle due giapponesi sadiche.
E' una specie di polistirolo, che polistirolo non e', con serigrafata sopra la texture del bambu'.
Ad una prima occhiata sembra veramente bambu', ma quando lo prendi in mano e senti che non ha assolutemente peso, capisci che hai a che fare con la simulazione del bambu'.
Apro e l'interno e' una tesi sull'ordine e l'organizzazione pasto.
Tanti piccoli scompartimenti con dosi di diversi tipi di verdure e alimenti vari, al centro, in uno scompartimento piu' grande, il riso.
Set di bacchette spezza e usa e qualche piccola busta con salsine varie per insaporire il tutto.

Sto pranzando mangiando giapponese da un cestino tipico giapponese viaggiando sullo shinkansen giapponese con Yukiko e Satoko, mi prendo un attimo, alzo lo sguardo e le osservo mentre si preparano il pranzo, accompagno lo sguardo fuori dal finestrino e vedendo il Giappone scorrere dietro di loro, penso che se morissi tra un minuto sarei comunque soddisfatto.
O sto veramente invecchiando o il Giappone e' l'unico paese in grado di commuovermi nelle le situazioni piu' disparate.

Finisco di pranzare e cerco di portarmi avanti con il resoconto.
Sullo shinkansen, ogni volta che un addetto passa per il vagone, appena entra si ferma sulla porta, fa un inchino, dice qualcosa e attraversa lo scompartimento, prima di uscire si gira di nuovo verso i passeggeri, fa di nuovo un inchino, saluta ed esce.
Con la puntualita' dello shinkansen puoi puntarci la lancetta dei secondi dell' orologio.
E tutte le maledette volte mi vengono in mente i treni delle ferrovie dello stato italiano, ma per non rovinarmi il fegato cerco di cancellare subito l'immagine del tabellone italiano che annuncia 20 minuti di ritardo quando in realta' sono 45 e hai ampiamente perso la coincidenza dovendo aspettare ulteriori 60 minuti (dall'arrivo) per la coincidenza successiva, cancellare l'immagine dei vagoni sporchi e vecchi, della cafoneria regnante sul 90% degli addetti e tutta un'altra serie di cose che chiunque abbia preso il treno almeno 2 volte puo' facilmente immaginare.
"I mezzi di trasporto in Giappone sono molto costosi" e io dico che fanno bene, il servizio e' impeccabile, perfetto, sono in orario, pulitissimi, comodissimi e sono contento di dare i miei sudati risparmi alle ferrovie giapponesi.

KODAMA (eco), treni prodotti dal 95 in poi, altri sono usati per le linee locali secondarie e sono comunque superiori al vanto delle nostre ferrovie, il tristemente famoso "EUROSTAR".

HIKARI (luce) treni prodotti sempre dal 95 in poi sulle linee, una particolarita' di questo treno e' che in caso di disastri ambientali, vedi terremoti, tifoni o altre sciocchezze catastrofiche, apre ai suoi lati delle specie di "orecchie di gatto" che servono ad aumentare l'attrito (che e' naturalmente nullo) per fermare nel minor tempo possibile il treno.

NOZOMI (desiderio) treni NOVITA', qui si viaggia sugli ultimi ritrovati ferroviari, quello che in Italia non vedremo mai, con il RAILPASS non puoi usare questa linea, quindi non so come sia, ma preferisco immaginarla mentre arriva alla stazione coperta da uno strato di ghiaccio lasciando alle sue spalle le rotaie in fiamme.

Puntualmente arriviamo a Kyoto.
Scendiamo e comincia il triste rito del trascinamento valigie, fortunatamente questa volta passera' a prelevarci Hatch.
Satop chiama Hatch, ancora 10 minuti e sara' da noi, il caldo inesorabile ci fa optare per un piccolo bar aria condizionato.
Qui Satop e Yukiko ordinano due bevande ghiacciate, io, memore di un documentario sui cammelli e il deserto del sahara, avendo sentito che i beduini nelle loro lunghe migrazioni sulla groppa del cammello sotto il ciocco del sole bevono SOLO bevande CALDE, ordino una tisana calda.
Mi vedo recapitare dopo pochi minuti una tazza coordinata ad una teiera, bollente, che mi fa capire quanto fuori luogo sia in quel momento quell'icona tipicamente invernale che e' la teiera bollente in questo clima tipicamente tropicale.

Mentre io cerco di fare finta di niente bevendo la mia bollente tisana in una bollente Kyoto, ecco che arriva Hatch.
Non vedevo Hatch da questo inverno (go japan1) ma mi sembra che non siano passate neanche due settimane.
Hatch ordina una bella bevanda ghiacciata, deridendomi quando gli offro un po' della mia bollente, cercando di abbreviare la mia personale agonia.
Segue il piano per la giornata.
Prima di tutto ci dirigiamo al ryokan per lasciare i due blocchi di marmo senza ruote con i 4 vestiti dentro.
Arriviamo e ci accoglie una vecchietta giapponese che ha almeno il doppio degli anni dell'albergo che gestisce.
E' alta circa un metro e mezzo e la sensazione che ti fa provare al primo impatto e' di tenerezza.
Parla con una vocina esile esile e i suoi occhi hanno litigato pesantemente, decidendo infine di smettere di guardare tutti e due dalla stessa parte.
Non parla una singola parola di inglese, ma c'e' Yukiko e si mettono d'accordo sul tutto.
Ci accompagna di sopra, lungo una tipica scalinata giapponese, di quelle da base jumping una volta arrivati in cima, io la seguo stando pronto ad afferrarla nel caso precipitasse.
Questo ryokan e' di gran lunga superiore a quello di Hakata, entriamo e la stanza e' preparata per il pomeriggio, con tavolino al centro e termos con acqua bollente per eventuale te' pomeridiano.
Ci avverte che la stanza verra' successivamente preparata per la notte e che potremo usufruire del bagno giapponese dalle ore 21:00 alle ore 24:00.
Salgono con noi anche Hatch e Satoko, in cerca di un po' di refrigerio.
In Giappone, per qualsiasi tipo di alloggio, che sia antico o all'avanguardia, l'unico comun denominatore e' l'aria condizionata.
Lungo i corridoi non posso non notare le lampade d'emergenza appese alle pareti, devono sicuramente risalire ad un'epoca ormai persa nel tempo, non mi azzardo a toccarle pensando che la peggior catastrofe incomberebbe spostando sull' ON l'interruttore.

Giusto il tempo per fare una granita di sudore e siamo di nuovo in macchina da Hatch, rigorosamente parcheggiata sotto il ciocco del sole, con la carrozzeria rigorosamente NERA e rigorosamente senza aria condizionata.
Facciamo una passeggiata in una delle numerose gallerie commerciali di Kyoto, qua e' abbastanza comune trovare questo genere di "galleria", in sostanza e' una via che viene "coperta" permettendo ai potenziali acquirenti di passeggiare indisturbati anche in caso di pioggia o, ancora peggio, in caso di sole.
C'e' di tutto, dal minimarket al negozio di vestiti vintage, dalla farmacia alla galleria d'arte, ci trovi dal chiodo alla gru, e' quel genere di posti dove tutti trovano tutto...tutti tranne me, ovviamente.
Io non trovo mai niente, se c'e' qualcosa che mi piace non e' della mia misura, se c'e' della mia misura e' la variante delle due possibili opzioni che mi fa cagare.
Io non so come possa continuare a vestirmi, trovo un paio di jeans ogni 2 anni, sono arrivato al punto che quando trovo qualcosa che mi va bene e che mi piace, la compro in duplice copia.
Tra tutti i negozi c'e' non puo' mancare un tempio, entriamo, e' il tempio dedicato ai problemi alla vista.
A quanto pare ogni tempio ha la sua specialita', anche qui c'e' un gadget da acquistare sul quale scrivere il proprio desiderio e appenderlo.
Partecipo al rito con scossa al campanaccio, battuta di mani e desiderio che poi e' sempre lo stesso, un buon augurio molto generico.

Kyoto e' disseminata di alcune strane mascotte, tali mascotte non sono altro che statue di procioni affette da elefantiasi ai testicoli, inizialmente si pensa di aver mal interpretato la scultura, ma da un esame piu' approfondito si capisce che non c'e' scampo, hanno veramente le palle gigantesche.
Yukiko mi dice che e' "per la buona fortuna", io le dico che in Italia e' sinonimo di annoiamento stratosferico.

Passeggiando arriviamo ad un fiume che attraversa Kyoto, lungo l'argine e' un brulicare di persone, pieno di stand e' esattamente una copia della festa che c'era a Tamana, solo moltiplicata 10, cio' significa che il modulo di Tamana era stato preso e ripetuto 10 volte consecutivamente, esattamente come per le case.
Ci sono stand di tutti i tipi, ci si urta, si rimane ipnotizzati dai mille "IRASHAIMASE" (benvenuto) e dalle bellezze locali, per le quali mi rendo conto di non avere un parametro ben preciso come per le occidentali.
In sostanza se su 10 occidentali possono piacermene 2 o 3 (nel migliore dei casi), su 10 orientali me ne piacciono 7 o 8 (nel peggiore dei casi), tanto che comincio a sospettare una mia qualche patologia mentale, se poi indossano uno yukata o un kimono, ogni parametro di valutazione viene annientato.

In uno stand noto un brulicare di bambini, ci sono anche delle gabbiette terrario e capisco che una delle mie peggiori paure sta per trovare una conferma: e' lo stand degli scarafaggi.
Se c'e' qualcosa che mi fa veramente schifo sono gli insetti, gli scarafaggi poi non si reggono proprio.
Bene, in questo stand ci sono tutti i tipi di scarafaggi possibili immaginabili, dalle mini midi maxi cavallette ai cervi volanti, alcuni potrebbero andare in giro con una sella sulla schiena.
Mezzo stand e' comletamente buio, illuminato a intermittenza da piccole luci, "gli insetti della luce! quelli del cartone animato di Ghibli" mi dice Yukiko, sfioro la commozione pensando che finalmente rivedro' le lucciole, in Italia penso di averle viste per l'ultima volta quando avevo meno di 10 anni, in montagna.
Mi avvicino molto lentamente e cerco di capire qualcosa in mezzo a quel buio intermittente.
Eccole li', le piccole care lucciole, che lampeggiano a intervalli regolari, eccole li', finalmente dopo tutti questi anni posso rivederle in Giappone, riprodotte in plastica e led luminescenti.
Vorrei piangere, ma non per la commozione.
Fortunatamente sono accerchiato da giapponesine in yukata che mi fanno dimenticare le brutture del mondo.
Penso a chi potrebbe comprare quelle fintissime lucciole e al perche' uno dovrebbe comprarle, a quel punto mi viene in mente una scena alla sauna con il padre di Satoko dove vedevo dei giapponesi contemplare una finta cascata d'acqua dietro la vetrata della sauna.
I giapponesi sono un popolo di contemplatori, i ritmi che gli impone il loro stile di vita, l'altissima densita' che li costringe a vivere spintonati nelle metro, intrecciati sugli attraversamenti pedonali, genera in loro la necessita' di "valvole di sfogo" come questa, dove riescono ad estraniarsi da tutto e rilassarsi di fronte a spettacoli reali o artificiali, non ha importanza, purche' siano spettacoli.
Cosi' le lucciole come la cascata, nella loro artificialita', sono spettacoli e i giapponesi li contemplano in profonda meditazione.
C'e' da dire anche della strana ossessione che i giapponesi hanno per i robot, ossessione che trova la massima celebrazione in ASIMO, della Honda, un robot umanoide che in una prima versione era alto quasi quanto un uomo ma che e' stato successivamente ridotto all'altezza di un bambino di 10 anni "per essere meno inquietante".
Forse per i giapponesi la rappresentazione esatta e perfetta di qualcosa di reale vale come e forse piu' della realta' che si vuole rappresentare...e come dargli torto?
Mi sono perso come al solito, cercando di inquadrare la mentalita' di questi giapponesi, e piu' cerco di capirci qualcosa piu' mi rendo conto che c'e' qualcosa che mi sfugge e che non riusciro' mai a capire.
Fanno le cose al contrario, parlano al contrario, la sintassi delle loro frasi e' completamente stravolta rispetto alla nostra, questo significa che il loro cervello elabora i concetti in maniera sostanzialmente opposta alla nostra, dovrei stravolgere tutte le mie dinamiche di analisi per riuscire FORSE a capirci qualcosa...ma chi ci vuole capire qualcosa? e' bellissimo cosi' com'e'.

Passiamo di fianco ad uno stand di ORIGAMI: questa mi mancava!!
Un'anziana volontaria della carta piegata ci fa accomodare ad un tavolino e comincia a mostrarci diversi origami gia' fatti.
Il tavolo e' pieno zeppo di microscopici insetti che sono il doppio dei nostri normali moscerini e sono completamente verdi, il corpo e' allungato e verde e piovono dal soffitto dopo aver cercato di entrare nella plafoniera del neon che illumina lo stand.
Alzo lo sguardo per capire l'entita' dell'infestazione e mi rendo conto che non imparero' MAI a fare un qualsiasi origami con il pensiero fisso allo stormo di insetti che stanno sopra la nostra testa e che continuano a cadere riempiendo il tavolo.
L'anziana e' presa dal morso della tarantola, corre, prende fogli di carta per spazzare via gli insetti dal tavolo con il solo risultato di spalmarli in mille righe rosse.
Proviamo a soffiare ma niente ne guardo uno da vicino e mi accorgo che quella che mi sembra la testa in realta' e' il culo, in giappone anche gli insetti sono fatti al contrario, cazzo!
Scegliamo l'origami della stella ninja, questo origami si rivelera' come l'unico origami che l'anziana volontaria non ricordava bene dovendo ricorrere alla consulenza dell'anziano volontario.
Dopo minuti interminabili, dietrofront, cambi di carta, esplosioni di insetti, finiamo un set di stellette ninja, io vengo rapito dalla modularita' del manufatto, in sostanza mi accorgo che possono essere incastrati l'uno nell'altro all'infinito, raccatto tutte le stellette che trovo e ne compongo una gigante.
L'anziana volontaria e' esterefatta, tanto che prende la mia composizione e la mostra all'anziano boss volontario che congeda il mio colpo di genio con sufficienza proprio mentre cominciavo a crederci.

Insacchiamo, tutti cominciano ad aver fame, e' tempo di trovare da cenare.
Hatch ci guida nelle strade piu' strette e poco raccomandabili di Kyoto, vicoli pieni di vapore, fumi di piccoli ristoranti take away e NOREN svolazzanti.
I noren sono quei pezzi di stoffa tagliati e appesi sulla porta d'ingresso, solitamente suddivisi in piu' parti, per entrare ti costringono a farti largo con il dorso della mano e chinarti leggermente, se si potesse prendere un fotogramma chiave del movimento al suo culmine e scontornare la persona, ne risulterebbe una posa tipo "CU' CU'!! INDOVINA CHI SONO!".
Accompagnato da un "madaiatteru?" sarebbe perfetto e significherebbe "e' ancora aperto?".
Il gesto in se' diventa quasi rituale, tanto che dopo averlo fatto almeno 10 volte in 10 posti diversi, quando non c'e' sembra che manchi qualcosa.
Finalmente raggiungiamo l' HOPPY.
L'Hoppy si rivela da subito un simpatico ristorante in stile anni 60 giapponese, gestito da una media di 26enni, le pareti sono foderate di ritagli di giornali d'epoca, copertine di celebri album occidentali e sconosciuti album orientali, copertine dalle quali fanno capolino i corrispettivi nipponici di Little Tony e Bobby Solo.
Qui mi rendo conto che c'e' solo una cosa che fa piu' cagare di qualcuno con la banana ed e' un orientale con la banana, se poi sfoggia una stempiatura notevole, abbiamo un capolavoro d'arte moderna.
L'HOPPY sa il fatto suo, inizialmente da' l'impressione di un posto un po' raffazonato (messo insieme alla bell'e meglio) ma scendendo nel dettaglio si capisce che in realta' e' tutto coordinato, uno su tutti il piattino con grafica finto vintage in stile anni '60, che denota una scrupolosa ricerca sullo stile del tempo che fu.
L'hoppy sarebbe da 10 e lode se non fosse che tutte le portate sono scandalosamente salate e ti costringono a bere ettolitri di acqua, cosa che con il caldo che fa fuori, e' totalmente controproducente.

Tra una chiacchiera e una boccata di sale, finiamo la cena, s'e' fatto un po' tardi, domani andremo a fare altri copiosi giri e decidiamo di optare per un "tutti a letto".

Arriviamo al ryokan e la sorella di Yoda ci chiede se vogliamo usufruire del bagno pubblico, Yukiko decide di si', saliamo in stanza e la troviamo adibita per la notte, sono stati stesi due comodi futon al centro della stanza e l'aria condizionata fa sempre il suo dovere.
Prendiamo i cambi biancheria, i due "pigiami" yukatati e scendiamo.
Con mia enorme sorpresa il bagno pubblico e' unisex, sta a significare che e' misto, che tutti e due possiamo entrarci insieme, ovviamente e' anche riservato a noi due soli.
In sostanza e' una versione matrimoniale mignon del bagno pubblico della sauna nella quale ero stato con il padre di Satoko e prima ancora con Marco.
Ci sono due rubinetti con doccia e bacinella, piccolo sgabello rigorosamente in legno POROSISSIMO, con tutto cio' che ne consegue e su di un lato della stanza c'e' una piccola vasca con acqua calda dove rilassarsi dopo essersi strofinati e sciacquati copiosamente.
Va tutto bene finche' non decido di immergermi nella vasca dell'acqua calda.
Entro e mi rendo conto che non e' cosi' calda come pensavo che fosse, ma dopo una ventina di minuti, non so per quale motivo, le pulsazioni cominciano a crescere vertiginosamente, divento paonazzo e Yukiko mi suggerisce che forse e' meglio uscire dalla vasca.
E cosi' la giornata finisce nel fresco futon steso sul tatami del ryokan di Kyoto...steso al buio leggo nei titoli di coda della giornata le parole "futon, tatami, ryokan, Kyoto" e mi addormento con uno dei sorrisi piu' appagati che si siano mai registrati sulla mia faccia.
Da domani ci trasferiremo all'hotel nel quale ci regaleranno lo yukata.

La mattina seguente capisco che Yoda in realta' e' Darth Wader travestito, tiranno maledetto, ci nega l'ospitalita' delle borse (cosa che tutti gli altri hotel o ryokan avevano permesso fino a quel giorno) dicendoci che dobbiamo portarcele dietro.
Hatch e Satoko hanno un impegno di lavoro e possono raggiungerci solo nel primo pomeriggio per accompagnarci all'hotel.
Usciamo e mi sento il Cristo che trascina la sua maledetta croce di ghisa rovente.
Ci dirigiamo verso il centro e finalmente riesco a vedere un po' di vita quotidiana di Kyoto.
Ho una mano occupata a trascinare il trolley, una occupata ad evitare che lo zaino appeso davanti non vada a falcidiare "i gioielli di famiglia" e un'altra che di tanto in tanto mi passa il tovagliolo sulla fronte per asciugarmi dal sudore dell'immane fatica, in questa situazione non posso certo concentrarmi su cio' che mi circonda.
Qui serve una pausa refrigerio, in un pertugio sulla via principale che stiamo percorrendo c'e' un agglomerato di distributori automatici, e proprio di fronte ad esso, la proccidenza ha piazzato un set di deposito borse e valigie a pagamento.
La punta con Hatch e' in questa zona, potremmo lasciare tutto qua per pochi cento yen e farci il nostro giro in santa leggerezza...mal che vada ci fregano tutto, zaino vestiti e il mio zaino tecnologia, immagino il "worst case scenario" (scenario del caso peggiore) con il nostro ritorno e il box completamente vuoto, io che mi vedo costretto al suicidio di massa, ma una tastata alla mia schiena in un bagno di sudore, lava via ogni peggiore casistica e accende in me la fiamma della fiducia nell'onesta' dei giapponesi.
300 yen e ripartiamo di slancio, dev'essere una cosa seria, ti lasciano anche la chiavetta per riaprire il box.
Mentre voliamo verso il centro, penso che chiunque scambierebbe una chiavetta di ferro con un portatile e accessori vari.

Se c'e' una cosa che va veloce piu' dei giapponesi, in Giappone, e' il tempo, questo me lo dicevano anche mentre viaggiavo in Cina anni orsono e infatti nel giro di pochi minuti passano le ore.
Ci fermiamo in un locale a fare colazione e quando usciamo e' praticamente ora di incontrare Hatch e Satoko.
Giusto il tempo per vedere un po' di negozi con articoli tradizionali in puro stile storico kyotese.
C'e' il negozio con gli asciugamani tipici giapponesi, che sono lunghi e stretti e servono per lavarsi, molti con motivi decorativi tradizionali.
C'e' poi quello che istantaneamente focalizza la mia attenzione ed e' quello dei GETA.
I geta sono i sandali o zoccoli giapponesi tipici, quelli infradito fatti di legno, squadratissimi che per suola hanno 2 pezzi di legno posti in maniera arretrata sulla pianta del piede e alti non meno di 3cm.
Sono i classici zoccoli che si vedono nei cartoni animati e tutte le volte che li vedo penso "cazzo, esistono veramente", e' inutile, potro' vederli 1000 volte e tutte le volte pensero' la stessa cosa.
I GETA sono assurdi, solo un genio poteva concepire una calzatura del genere e ovviamente quel genio e' nato in Giappone.
Ci sono tutta una serie di varianti di geta, quelli maschili sono squadrati e larghi, quelli femminili sono arrotondati e stretti quel poco che basta a costringere la donna giapponese che indossa i geta ad avere il mignolo del piede fuori dalla base del geta, un dettaglio non da poco, soprattutto per un feticista come me.
Il piede delle giapponesi che indossano i geta assumono una posizione assolutamente stupenda e fanno capire che chi ha deciso quale fosse lo standard del geta non poteva che essere una assoluto feticista del piede e io lo stimo moltissimo.
Il geta ha un'ulteriore variante ed e' a 1 listello solo sulla pianta del piede, c'e' da chiedersi come sia possibile camminarci sopra, io non ho provato ma so' gia' che puo' funzionare, ormai la mia fiducia sui mezzi nipponici e' totale, comunque sia, questa variante "mono" serve per camminare in montagna.
Se mai andro' in montagna, mi attrezzero' con questo tipo di geta.
I geta moderni hanno perso i due listelli per guadagnare una base in materiale plastico leggero che copre tutta la pianta della calzatura, non e' piu' piattissimo ma presenta una curvatura e la suola e' imbananata per conferire al geta lo stesso tipo di reazione alla camminata che dava il geta tradizionale.
Yukiko mi ha regalato un paio di geta moderni e io non ho potuto evitare di mettermeli subito.
I primi 50 minuti sono stati una tragedia ortopedica, con me che cercavo di dissimulare un andamento incerto e a tratti grottesco, non capivo quale dovesse essere la mia posizione ottimale, finche' non ho pensato all'andamento dei samurai.
Fieri ed impettiti, i samurai camminavano in posizione eretta, sembrava quasi che procedessero su di un tapis roulant.
Decido di smettere di arrancare ed spostare il mio baricentro 2 metri sopra la mia testa.
Funziona.
In questa posizione la curvatura della suola del geta genera una sorta di camminata automatica, lo sforzo e' ai minimi termini, si cammina quasi per inerzia.
"Sono dei geni...sono dei maledetti geni".

Torniamo ai box deposito per capire se da ora in poi il mio fardello consistera' in una chiavetta di ferro o nei cari vecchi zaini.
Inutile dirlo, continuero' a sudare trascinando ghisa.

Raggiungiamo il punto d'incontro con Hatch e Satoko e qui mi rendo conto di quanto storica sia Kyoto rispetto ad una qualsiasi altra citta' giapponese da me visitata.

Siamo all'albergo, dopo il rito classico del check in, l'addetto ci indica un guardaroba colmo di Yukata, il 98% femminili e 2% maschili, il che significa che Yukiko poteva scegliere tra 98 tipi diversi mentre io tra 2 tipi, dei quali 1 taglia M e uno XL.
Fortunatamente l'XL aveva tutta l'aria di un pigiama mentre l'M in tonalita' blu scuro con piccole linee verticali nere (tipo gessato) poteva anche fare al caso mio.
Prendiamo un modello a testa, sono compresi nel prezzo.
Il tipo ci informa che nel caso Yukiko avesse bisogno di aiuto per indossarelo yukata, una addetta sarebbe salita in camera con tutto l'occorrente per la vestizione.
L'hotel e' attrezzato con "internetto" in stanza, tutto compreso nei 50€ totali di prezzo (25€ a testa).

Saliamo, lasciamo le borse e torniamo di sotto.
Via, la giornata prevede una sosta pranzo e la visita alla CINECITTA' giapponese.
Penso che ormai tutti i giapponesi abbiano capito che alla domanda "cosa vuoi mangiare? preferisci sushi, ramen o udon?" sia automatica la mia risposta "UDON!!!".
Siccome Hatch e Satop sono molto perspicaci, Hatch ci porta in un ristorante specializzato in UDON.
Gli udon sono quei tipici spaghetti di riso giapponesi che pero' non hanno per niente l'aspetto dei nostri spaghetti.
Sono piu' lunghi, la sezione e' quadrata e nella forma sono molto irregolari, il che conferisce all'udon un che di "fatto a mano", ma sicuramente c'e' una macchina che in automatico conferisce all'udon l'effetto "fatto a mano".
Il diametro di un UDON e' di circa 3 o 4 millimetri, essendo fatto di riso e' abbastanza gommoso e, una volta afferrato con le bacchette e sollevato, prende vita.
Mangiare gli udon e' una delle esperienze nipponiche che ti segnano profondamente, ma mai profondamente quanto vedere un giapponese che lo fa.
Ti rendi conto che in zona c'e' un giapponese che mangia udon da svariati metri di distanza, questo e' dovuto al classico rumore di risucchio sconsiderato che il giapponese produce mentre mangia.
Chi non ricorda le scene di Lamu' dove Ataru mangiava avidamente con la bocca spalancata "quella specie di spaghetti bianchi"? io ce le ho stampate in mente, dopo gli onigiri vengono "quella specie di spaghetti bianchi".
Ok, ora "quella specie di spaghetti bianchi" ha un nome: UDON.
I nipponici non si soffiano il naso in pubblico perche' ritengono il rumore grossolano, maleducato e volgare, ma mangiano gli UDON producendo un rumore di risucchio assurdo capace di scandalizzare il piu' navigato degli occidentali, me compreso.
Ma ovviamente c'e' un motivo e non lo si scopre finche' non si prova a mangiare un bel piatto di udon con le bacchette.
L'occidentale sprovveduto che approccia un piatto di udon per la prima volta (faccio finta di non essere io) pensa che tutto quel casino sia grossolano, maleducato, volgare e totalmente inutile.
Ovviamente l'occidentale sprovveduto che approccia un piatto di udon per la prima volta non ha capito un cazzo della vita.
Gli udon possono essere consumati caldi o freddi, se si prendono freddi vengono serviti a parte contornati di cubetti di ghiaccio con una ciotola contenente un brodino non identificato (spesso a base di pesce e salse varie) nella quale intingere gli udon prima di mangiarli, tale brodino lo si puo' condire con cipolla tagliata a pezzettini, nello specifico la parte di porotto che noi occidentali buttiamo via, quella verde per capirci...quindi un'altra cosa che i giapponesi fanno al contrario e' mangiare il porotto, da condire con salsa WASABI a piacimento.

Il wasabi, come lo zenzero, e' una salsa che la prima volta che si assaggia causa la morte cerebrale istantanea, una volta rianimati non si puo' piu' vivere senza.
Mangiare un quarto di cucchiaio da caffe' di wasabi e' un po' come dare un morso ad un concentrato di 1000 cipolle, il sapore non c'entra niente ma la reazione e' simile, anche se non paragonabile.
Una volta al ristorante giapponese ovviamente gestito da cinesi in Italia, e' scattata la sfida: mangiare una noce di wasabi, la regola principale era che non si poteva mandare giu' intera, bisognava spalmarsela bene su tutta la lingua, mostrare agli sfidanti la lingua verde e successivamente inghiottire il tutto.
L'unico che ha accettato e portato a termine la sfida e' stato Giorgio (Zattoni, il nostrano campione di skateboard) e devo dire che il vero obiettivo della serata era far mangiare una noce di WASABI a Giorgio.
Ho visto Giorgio volare a 8 metri dal suolo con lo skate facendo capriole e manovre assurde, ho visto Giorgio fare voli di 15 metri a 15 metri dal suolo con la moto da cross, ma l'unica volta da quanto lo conosco (e sono ormai 20 anni) nella quale ho temuto per la sua vita e' stato quella sera al ristorante giapponese.
Li' ho pensato "cazzo questa volta abbiamo esagerato".
Giorgio, inghiottendo la noce di wasabi non ha fatto una piega, non ha fatto espressioni contorte, gli si e' opacizzato lo sguardo fissandosi al miglio e ha dato una serie di 3 colpi di tosse secchissimi.
Gli sono uscite solo due parole in un tono di voce che era di tutti tranne che suo: "cazzo".
E di li' a poco: "peso".

Lo zenzero e' servito a piacimento in "sfogli", la prima volta che l'ho mangiato ho pensato che in realta' fosse del GLED ASSORBIODORI e da bravo pirla, senza averlo capito, me lo fossi mangiato, l'equivalente di andare in un ristorante figo e addentare la candela pensando di cominciare con un bel pinzimonio.
In realta' no, lo zenzero e' proprio cosi' e anche questo causa la dipendenza assoluta, tanto che spero di non incrociare mai piu' un GLED ASSORBIODORI (o una candela in un ristorante figo).

Bene, tornando agli UDON, l'udon puo' anche essere consumato caldo, in questo caso viene servito direttamente nel suo brodo gia' completo di condimenti e accessori.
Il mio approccio all'assunzione di udon e' stato tragico.
Innanzi tutto mangiare gli udon con le bacchette comporta che sia impossibile fare quello che si fa normalmente con gli spaghetti e la forchetta, cioe' arrotolarli a mangiarli in un sol boccone.
No, si prende quella che si pensa sia la giusta dose di udon, che regolarmente si rivela troppa o troppo poca, e la si solleva per intingerla nella ciotola, qui si ha la visione d'insieme di quello che e' il nemico in tutta la sua magnificenza, l'udon prende vita e comincia a dare sferzate inconsulte, come piccole anguille di riso tarantolate.
Domata la dose si cerca di annegarla nella ciotola, sfruttando questo momento per riposarsi un attimo e, avvicinando la ciotola alla bocca (in puro stile Ataru Moroboshi) si comincia a convogliare l'udon in bocca stando molto attenti a non produrre alcun rumore tutto questo abbinato ad un piccolo inevitabile risucchio.
Il fallimento di una sola delle due operazioni porta l'udon a tuffarsi inesorabilmente nella ciotola tra mille sbruffi, che finche' sono freddi tutto bene, quando sono caldi e' tutto un altro paio di maniche.

L'unico risultato di tutta questa sudata operazione e' che, nella remota ipotesi che si arrivi ad una conclusione, l'udon ha punito lo sprovveduto occidentale frustandogli la faccia e lasciando sciabolate di brodo ovunque, da orecchio a orecchio, da fronte a collo.
Esiste solo un modo per mangiare gli udon senza fare fatica e senza sbrodolarsi ed e' esattamente come faceva Ataru Moroboshi e come fanno tutti i giapponesi: facendo un casino immane.
1) Tenere aperta la bocca sulla ciotola con brodo e udon
2) Espellere tutta l'aria che si ha nei polmoni
3) Pinzare con le bacchete una quantita' di udon e avvicinarla alla bocca
4) Attiva l'idrovora producendo il maggior rumore possibile immaginabile senza MAI chiudere la bocca
5) Una volta entrato l'ultimo millimetro di UDON chiudere i boccaporti e assaporare.

Piu' casino si fa, piu' i giapponesi commensali ti guarderanno soddisfatti come a dire "buono eh?".

Usciamo, sazi e con le orecchie che fischiano ci dirigiamo alla CINECITTA' GIAPPONESE DI KYOTO.
In quella che sara' una delle piu' grandi delusioni di tutto il viaggio.
Da fuori la biglietteria sembra quella di un cinema, dentro si preannunciano spettacoli con fumi e raggi laser, poster di film piu' o meno celebri, dall'horror alla yakuza passando dal samurai.
Il prezzo e' scandalosamente alto, tipo 1800yen (12euro), ma se lo spettacolo vale, ormai siamo qua, non sia mai che un giorno nella vita mi penta di non essere entrato.
Una volta dentro vedo ne' piu' ne' meno quello che ho visto fuori, la riproduzione di una citta' del Giappone del passato, il bello e' che fuori da qua mi sembrava tutto piu' finto che qua dentro, quindi camminiamo tra queste finte casette in legno mentre Hatch leggendo i vari cartelli annuncia che tipo di abitazione era questa: "questa era una banca", "questo un ristorante", "questa la casa di una famiglia povera"...a me sembrano tutte esattamente uguali.
Ad un certo punto vediamo un assembramento di persone, ci dirigiamo la' e scopriamo che stanno girando un film o un telefilm o, mi viene il dubbio, forse e' tutta una messa in scena per dare un minimo di credibilita' a questo posto.
E' un caldo bastardo e siamo al sole, non c'e' traccia d'ombra nel raggio di 100 finti set cinematografici.
Quello che vediamo e' una specie di regolamento di conti, ci sono 3 samurai che chiamano uno dentro la casa, il tutto si svolge di fronte ad un piccolo laghetto, questo esce e spara due katanate ai samurai i quali decedono tra urla e rantolii.
Ad un certo punto entra in scena uno vestito normalmente, con giacca e cravatta e dice qualcosa, il protagonista si gira verso di lui: "KATTO, KATTOOOO" urla il registra all'ombra dell'unico ombrellone presente in tutta Kyoto ("KATTO" e' la giapponesizzazione di "CUT", cioe' "TAGLIA" o "STOP", fine della ripresa).
20 minuti di agonia li' al sole, Yukiko mi informa che tra i presenti sul set c'e' un giovane attore piuttosto famoso in Giappone che assiste alle riprese, mi chiedo se qualcuno l'abbia pagato per stare li' a guardare la finta scena di finta ripresa in finta citta' cinematografica.

Proseguiamo il nostro giro turistico, sotto il sole cocente sembra tutto un po' piu' desolato, finche' non passiamo di fianco ad un turbinio di assistenti che corrono a destra, sinistra, avanti e indietro con in mano parrucche o parti di costumi d'epoca.
Ci troviamo di fronte a quella che e' la maggiore attrazione di tutto il CINECITTA': "FAI LA FOTO TRAVESTITO".
A quanto pare, dopo il karaoke, la seconda passione dei giapponesi e' fotografarsi in costume.
Qui la scelta e' piuttosto ampia, si va dal samurai al ninja, dal signorotto alla geisha, ma i piu' gettonati, ovviamente, sono ninja, samurai e geishe.
Ci sono due tipi di foto, mezzobusto o figura intera.
Il figura intera costa spropositatamente di piu' del mezzobusto e non ci vedo tutto questo sbattimento in meno nel preparare un mezzobusto rispetto ad un figura intera.
Il malcapitato giapponese che decide di farsi la foto in costume evidentemente non e' attento a quello che sta succedendo a chi, prima di lui, ha commesso lo stesso errore.
Il malcapitato giapponese viene innanzitutto annientato nella personalita', da subito gli viene intimato di togliersi scarpe e vestiti, il giapponese, che non ha problemi di nudismo essendo abituato al bagno pubblico fin dalla piu' tenera' eta', esegue tutto per filo e per segno con sguardo imbambolato.
Il malcapitato giapponese che ho di fronte dice "Ninja" e gli si stampa in faccia un sorriso ebete che manterra' inalterato per tutta la durata del trattamento.
Subito le assistenti del fotografo che, a giudicare da come maltratta i malcapitati giapponesi di fronte al suo presettato obiettivo, ODIA il suo lavoro.
La parola d'ordine e' "UNO VIA L'ALTRO", il sensore non fa in tempo ad impressionarsi con l'immagine dell'inebetito samurai, del piu' improbabile dei ninjia e della meno sensuale geisha che eccolo gia' li' in mutande pronto per tornare alla sua quotidiana vita di studente, disoccupato o impiegata.
Satop mi chiede "vuoi fare una foto vestito da ninjia?" e Il mio sguardo allucinato misto terrorizzato e' abbastanza internazionale per essere capito anche senza sottotitoli.

Hatch ha la tabella di marcia e tiene d'occhio l'orologio, tanto che ad un certo punto ci troviamo seduti di fronte ad una piccola casa finta giapponese, assieme a noi si raggruppano una ventina di visitatori.
Esce un samurai vestito da samurai e dice qualcosa al pubblico, applauso, io applaudo fingendomi divertito.
La scena consiste in questo:
Il samurai entra in casa, arrivano altri due samurai vestiti praticamente uguale ma piu' scuri, in pratica un incrocio tra un samurai e un ninjia, volano una serie di minacce in giapponese (questo lo capisco dal tono minaccioso tipico delle minacce) e scatta il duello.
Sopravvivera' solo il samurai, gli altri due moriranno in sequenza, uno in maniera abbastanza sommessa e l'altro sbraitando sofferente tra mille stenti, agonizzando tra una smorfia e l'altra.
A seguire prenderanno 4 cavie dal pubblico, 3 piccoli bambini e un'adolescente ai quali faranno fare la vece del samurai vincente, impartendo i primi rudimenti di quello che suppongo abbiano presentato come "l'arte della recitazione".
Il fenomeno strano e' come tutti, ma proprio TUTTI, siano rimasti a guardare i 4 che ripetevano la stessa identica scena.
Deve essere uno dei risvolti della famosa cordialita' giapponese.

Proseguiamo oltre, ma molto oltre, talmente oltre che siamo quasi verso la fine del giro..finche' non incappiamo di fronte a quella che mi annunciano come "LA CASA DEGLI ORRORI", quella con "la fantasma giapponese".
Io nutro un profondo rispetto per l'orrore, talmente profondo che spesso e volentieri cerco di evitare queste cose proprio perche' i confini tra orrore e patetico, demenziale, ridicolo e scandaloso sono talmente vicini da lasciare un margine d'azione fin troppo stretto.
L'ho capito quando avevo 8 anni e volevo fare una rappresentazione raccapricciante e orrorifica con dei pupazzetti dentro una cassetta di legno.
L'obiettivo era creare una scatola che, una volta aperta, terrorizzasse chi ci guardava dentro.
Ovviamente non ho superato la verniciatura della lampadina che doveva illuminare il "grand guignol" in miniatura.
Se l'ho capito io a 7 anni, mi chiedo come sia possibile che ci sia gente che, in eta' piuttosto avanzata, non realizzi l'immensa cazzata che ha creato.
Ma sto divagando.
Passano i minuti mentre cerchiamo di capire se vale la pena lasciargli 4 ulteriori euro ed entrare o proseguire oltre.
La scelta, come sempre sbagliatissima, ci trova piu' leggeri di 4euro a camminare nel buio di una stanza.
Yukiko e' l'unica ad avere quel minimo di lucidita' che le permette di rimanere seduta sulla panchina fuori, all'ombra di un grande albero giapponese.

Nel buio un video ci ammonisce: NIENTE FOTO E NIENTE VIDEO! NON TOCCATE NIENTE! SEGUITE IL PERCORSO E CERCATE DI SOPRAVVIVERE ALLA PAURA! (traduzione di Hatch, ndr)

Io apro la strada, Hatch e Satop mi seguono.
Quello che comincia a intravedersi e' un paesaggio antico giapponese, tanto per cambiare, lasciato all'abbandono, i suoni sono quelli tipici del film horror, rumore di vento tra le porte, porte che sbattono, risatine sadiche in lontananza, il cliche' dell'orrore.
Passiamo tra porte che tutto ad un tratto cominciano a sbattere freneticamente, soffioni boraciferi e manichini menomati semovibili che fanno tutto tranne che paura, finche' non giriamo un angolo (uno degli ultimi, fortunatamente, ndr) e ci troviamo di fronte una specie di geisha vestita di stracci bianchi.
Ella sta a capo chino e la folta chioma di finti capelli bianchi le copre il viso.
Io suppongo subito che si tratti di una persona vera, ma una parte di me prega che non sia vero per abbandonare definitivamente quella sensazione di imbarazzo per quell'ipotetico poveraccio che deve stare tutto il giorno li', vestito come un pirla, ad aspettare che passi qualcuno per fargli paura.
Mi piego per vedere che faccia abbia mentre Hatch e Satop proseguono passandole di fianco.
Costei si rivela una "poveraccia" in carne ed ossa che stava li' schiava del colpo della strega ad aspettare che qualcuno le passasse di fianco, proprio come stavano facendo in quel momento Hatch e Satop ed ecco che tutto ad un tratto si anima in un urlo sbracciando verso di loro.
La scena si blocca nella mia mente in 4 istantanee:
1) La fantasma giapponese si lussa le spalle urlando.
2) Hatch si sloga il collo nell'inclinare la testa all'indietro troppo velocemente ridendo per quanto sta accadendo.
3) Satop si rifugia in mezzo alla schiena di Hatch facendo eco all'urlo del finto fantasma.
4) Io sconsolato chiudo gli occhi pensando "oh...no...e' tutta colpa mia" e mi scuso mentalmente con la finta fantasma giapponese.

Nel giro di sbracciate, colli rotti e urla, io rimango dietro la fantasma e sono costretto ad uno scatto felino per non intralciare il suo rientro nel timore di farle paura urtandola.
E' In questi momenti vorrei poter parlare giapponese e redimere la fantasma, prevedendo la mia uscita trionfante con lei che, una volta fuori, butta la parrucca e i finti stracci nel bidone, pronta per una nuova vita.
Un flashback mi riporta a quando andai a Londra troppi anni fa e nei finti sotterranei di quello che era un Museo delle cere dell'orrore, a tratti si vedevano branchi di visitatori correre qua e la' urlando in preda ad una sorta di isteria collettiva.
Era tutta colpa di un finto Frankenstein.
Ad un certo punto il Frankenstein si e' avvicinato al nostro gruppo e mi sono ritrovato isolato di fronte ad un abbontante uomo di 2metri circa.
L'unica cosa che ho potuto fare e' stata dargli la mano in segno di amicizia e cordoglio, notando la sua gommosa stretta di mano con finte cicatrici sopra.

Siamo quasi fuori dal delirio che sentiamo un altro urlo della fantasma e una bambina che comincia a singhiozzare, mi giro e vedo un turista che tiene sotto braccio quella che dovrebbe essere la figlia.
"beh, alla fine a qualcuno fa anche paura...a meno che non pianga per compassione...".

FInalmente la luce, penso che non baratterei la mia fatica nel dire a qualcuno che tipo di lavoro faccio con il potergli semplicemente dire "spavento la gente nella casa degli orrori del cinecitta' di Kyoto" e ci allontaniamo dalla casa dei 4euro.

Siamo nel finalone, il negozio con i souvenir e la zona cimeli cinematografici.
Qui vedo anche i pupazzetti di uno dei telefilm che piu' mi prendevano quando ero piccolo, quello di ITO OGAMI che spinge la carrozzina in legno con il figlioletto dentro piena di stratagemmi bellici: un tuffo al cuore.
Poco tempo dopo scopro che in televisione, qua in giappone, c'e' una nuova serie di Ito Ogami, un remake del classico in bianco e nero.
Vuoi che con tutte le cagate di telefilm che passano da noi non possano passare anche questa??
Ovviamente no.
Poco prima dell'uscita totale colgo l'ultima occasione che ho per immortalarmi al fianco di un samurai, riguardando poi la foto mi rendo conto che effettivamente potrei spacciarmi per suo fratello.

Usciamo e il fatto che nessuno commenti la visita appena fatta e' sintomatico dell' indice di gradimento.
Siamo diretti ad un negozio per attrezzature edili giapponese, quello che da noi e' un classico negozio anti infortunistica e quello che da noi e' il tipo di negozio da me preferito.
Quello che cerchiamo e' il TABI, la calzatura ninjia che usano i muratori giapponesi, alla faccia dell'anti infortunistica.
Il tabi e' poco meno consistente di una "all star" ma, a quanto pare, va per la maggiore tra i muratori nipponici.
Questo inverno ne avevo comprati un paio, ma per chissa' quale motivo, probabilmente mi si era congelata quella parte di cervello, li avevo presi BIANCHI ben sapendo che c'erano anche neri.
Ora il mio obiettivo e' comprarne un paio NERI da poter indossare nella vita quotidiana.

Al negozio per muratori c'e' tutto, bellissimi caschetti in plastica da cantiere, roba che anche uno svedese, indossandoli, potrebbe essere scambiato per un giapponese.
C'e' tutto, si', tutto tranne i TABI NERI, ovviamente.
Compro un souvenir per Patrick e Silvia, un piccolo yukata per neonati, visto che stanno per procreare ed esco sconsolato.
Sono due i maggiori deterrenti all'acquisto mentre si e' in viaggio:
1) Il volume.
2) Il peso.
Qualsiasi cosa compri, devi fare i conti con il tapis roulant della morte, quello che appena appoggerai il tuo trolley al check in, fara' lampeggiare il tuo sovrappeso di minimo 8Kg sui 20Kg massimi consentiti, nonostante tu non abbia comprato praticamente niente.

Che si fa?
Andiamo alla sala giochi!
Prima di entrare in sala giochi, mi si chiede se sono interessato a vedere il PACHINKO da vicino.
Ovviamente la mia risposta e' affermativa.
Voglio capire cos'e' che tiene incollati milioni di giapponesi di fronte ad una pallina che rimbalza dall'alto verso il basso per ore e ore e ore.
Cosi' entriamo in un PACHINKO.
Il locale dove c'e' il pachinko e' qualcosa di umanamente inaccettabile.
Il primo fattore che va contro ogni regola di sopravvivenza e' il frastuono.
Centinaia di macchinette che suonano a volumi disumani e che lanciano palline in ferro con la rapidita' di una mitragliatrice UZI di ultima generazione,
Il secondo fattore e' il puzzo di fumo allucinante.
Gia' i nipponici sono piuttosto tabagisti, figuriamoci dei nipponici che sono in pressione psicologica assoluta mentre osservano il loro sudato stipendio svanire pallina dopo pallina.

C'e' un obiettivo nel gioco ed e', tramite una manopola rotante, correggere l'arco di tiro per permettere alla pallina di rimbalzare dritta in un buco in basso al centro, permettendo alla scena del film o cartone animato che vi e' associato di proseguire.
Piu' si prosegue con il film e piu' si vince...cioe', piu' si vincono altre palline da reinserire nell'uzi camuffato e rimitragliare sul tabellone verticale.
Ai piedi di alcuni giocatori vedo pile di cassette piene di palline, Hatch mi dice che una sola di quelle cassette vale circa 70euro (10.000yen) e a giudicare dalle pile di alcuni giocatori, questi si stanno spendendo lo stipendio di 4 generazioni a venire.
Satoko parte, mette 500yen e riceve in cambio una manciata di palline.
Le mette nel caricatore e parte la sceneggiata.
TATATATATATATATATATATATA su 10 palline 1 va in buca, ma la proporzione e' spesso tradita.
Ad un certo punto, non si sa per quale motivo, Satoko riceve un piccolo contentino di palline di ferro, subito nel calderone delle sparate e si prosegue.
Il gioco finisce.
Satoko si alza e proclama la sua sconfitta.
Per tutto il tempo ho inutilmente cercato di capire cosa cazzo stesse succedendo, facendo domande, gesticolando, disperandomi, ma nessuno mi ha dato una risposta esauriente.
Cosi' decido di buttare via 500yen (3,5euro) e capire sulla mia pelle quale sia la dinamica di gioco.
Manciata di palline per me.
Afferro la manopola per capire, 3 secondi dopo, che questa non ha alcun influsso sul gioco, contrariamente a quanto possano pensare 1203901923019 giapponesi che giocano a pachinko.
27 secondi dopo ho finito la mia scorta di palline.
Resto in silenzio a fissare il tabellone che pare dirmi "embeh? cazzo vuoi ancora? e' finito..non c'hai capito un cazzo eh? cretino di un turista gaijino, lascia perdere il pachinko non e' roba per profani come te!".
Forse dovrei mettere altri 500yen per capire bene come funziona.
Fortunatamente non sono solo e c'e' gia' chi e' sulla via dell'uscita prima che io sia sulla via di altri 3,5euro.
Esco anche io mentre nella mia retina e' rimasto impresso il tabellone del pachinko, continuo a chiedermi cosa sia successo, cosa fosse quella roba e soprattutto: perche'?
Forse e' qui la chiave del seguito furibondo che ha il pachinko in giappone, anche i giapponesi non hanno capito di che cosa si tratti e continuano imperterriti a giocarci nella speranza di avere l'illuminazione.
Del resto lo zen l'hanno inventato loro, la meditazione con annessi e connessi, capisco che questa gente non gioca, in realta' medita sul funzionamento di questo gioco e come dargli torto quando sappiamo bene che "la chiave dell'illuminazione e' non smettere mai?"

Usciamo e ci rendiamo conto che c'e' solo una cosa peggiore del puzzo di fumo che c'era dentro: il puzzo di fumo che abbiamo addosso.
Siamo fuori e ci rendiamo conto che c'e' solo una cosa peggiore del frastuono che c'era dentro: il fischio che producono le nostre orecchie.

Salagiochi!
E' la fiera del cabinato, le simulazioni si perdono a vista d'occhio.
Io vedo subito un pallone legato ad una corda e una microporta nella quale tirare pallonate.
Scopo del gioco e' spallonare al massimo delle proprie capacita'.
Sono italiano, abbiamo vinto i mondiali, e' il mio gioco.
La potenza del mio tiro e' inversamente proporzionale al sudore che questo gioco mi fa produrre e, come sempre in questi casi, il gioco NON FINISCE MAI.

Hatch azzarda ancora di piu' e comincia a giocare al gioco di ROCKY JOE, esatto, quello del cartone animato.
Indossi un paio di guanti di gomma e devi colpire dei bersagli che si attivano di volta in volta in sequenze piu' o meno veloci.
E' contemplata anche la difesa nell'atletico gesto di accovacciarsi per uscire dal campo visivo del sensore, penalita' un bel cartone nei denti a Rocky Joe (del quale stai facendo le veci).
Godo nel vedere come Hatch stia sudando piu' di me, nonstante il suo sudare mi risulti piu' dignitoso del mio.
Satop la fa da spettatrice in tutti i casi e Yukiko decide di cimentarsi in un test dell'equilibrio.
C'e' una simulazione di tavola da skate e sei vincente se riesci a tenerti in equilibrio su di essa.
Niente di piu' facile, penso.
Niente di piu' sbagliato, in realta'.
Tempo di gioco di Yukiko: 2 secondi.
Alche' decido di capire come sia possibile che sia durata cosi' poco.
Salgo e scopro l'arcano: c'e' qualcosa che fa sbilanciare la tavola, e' quasi impercettibile, ma c'e'.
E' una truffa.

Ping Pong o biliardo?
Ping Pong.
Partita: vincono Hatch e Satop
Rivincita: vinciamo io e Yukiko
Bella: fanculo maledetti giapponesi che tengono la racchetta al contrario!

Usciamo che e' tempo di cenare: let's go to the KAITEN SUSHI!
Penso di aver gia' ampiamente parlato del KAITEN SUSHI, ebbene, tutti quelli che avevo visto fino ad ora erano delle miniature di questo.
E' come quelli che stanno a giocare tutta la vita con i trenini lima finche' un bel giorno il nonno non li porta a vedere i treni veri.
Eccoli qua i treni veri e il capolinea e' la mia pancia.

Si, siamo abbastanza stanchi, e' giunto il momento di volgere lo sguardo al guanciale.
Torniamo a casa.
Il programma del domani prevede una bella gita su per la montagna.

La mattina sale in camera una inserviente con qualche pezzo mancante per comporre completamente la vestizione "yukata" di Yukiko.
La donna che deve indossare lo yukata necessita di una infinita pazienza e, ancor piu' importante, un'altra che la aiuti.
Per quanto semplice e minimale possa sembrare uno yukata, la sua preparazione e' esattamente il contrario di quanto si possa immaginare, cioe' un delirio.
In effetti, lo yukata in se' non e' complicato, in sostanza e' un accappatoio piu' raffinato (ho detto la cazzata) quello che piu' incasina l'assemblaggio sono tutta una serie di "rinforzi" che, una volta posizionati a dovere, danno allo yukata una rigidita' e una compostezza unici.
Tralascio questa parte e passo subito al peggio: annodare l'obi.
Ho visto persone piangere per un nodo alla cravatta, sfibrare la seta del "cappio elegante" cercando di sistemare ripetutamente il maledetto nodo.
Ebbene, il nodo alla cravatta, in confronto al piu' semplice dei nodi per obi e' nulla, e' come paragonare l'aeroplanino (quello basic) di carta all'origami del DNA umano.
Ora, io non so a quale livello fosse l'inserviente che e' venuta ad aiutare Yukiko, io ho cercato di memorizzare alla perfezione tutto il procedimento ma non c'e' stato verso.
Questa avra' fatto e disfatto il nodo almeno 5 volte scusandosi almeno 10 volte.
Alla fine, tutto ad un tratto, quando meno me lo sono aspettato, il che coincide alla perfezione con il quando mi sono distratto un attimo, il nodo (obi) era perfettamente confezionato.
Evidentemente, prerogativa della buona riuscita di un obi e' che io mi distragga mentre lo si sta facendo.
Ed eccola li', la caramellina Yukiko.

A questo punto devo "yukatarmi" anche io per non fare la figura del guastafeste.
Memore dei turisti che ho visto in giro in yukata, avrei preferito evitare, e' palese che SOLO i giapponesi stiano bene in yukata, data la loro conformazione fisica della quale piu' volte ho discusso assieme a Marco, abbiamo infine convenuto che i giapponesi sono bidimensionali, cioe' non hanno spessore, di fronte e da dietro sono ottimamente piazzati, spalle larghe che scendono in una possente schiena a V con gambe nella maggior parte dei casi cortissime, ma che nel complesso bilanciano la loro figura dando un non so che di esotico al portamento (non so neanche cosa sto dicendo), tuttavia, se ruotiamo di 90 gradi un giapponese, esso scomparira'.
La qual cosa e' perfettamente abbinabile al concetto dell'origami, del resto un origami e' quasi sempre bidimensionale.
Ebbene, se metti qualcosa che prevede bidimensionalita' ad un occidentale, che in confronto figura come un volgarissimo botolo, otterrai la tristissima caricatura di un giapponese o, detta in altre parole: un occidentale, il piu' delle volte obeso, in pigiama/accappatoio.
Ecco, io volevo evitarmi questa figura da vacanziero travestito, ma ormai avevo detto che l'avrei fatto e cosi' eccomi mentre controllo il tutto allo specchio.
Tutto sommato non faccio neanche troppo schifo, fortunatamente non sono obeso, ma non sono neanche bidimensionale, data la cassa toracica stile bianco caucasico, ma non pago di cio' decido di dare un tocco "moda" al tutto abbinandolo al mio paio di adidas bianche con righe nere acquistate appositamente per il viaggio e che pare non stonino piu' di tanto, dato che il mio yukata e' abbastanza scuro.
Devo sicuramente fare l'effetto di Beruschi in DRIVE IN, giacca e cravatta con scarpe da ginnastica, non ho mai capito se fosse un genio della moda o uno sfigato.
La prima cosa che noto dello yukata e' l'estrema freschezza che regala, ma in questo momento non fa testo, dato che siamo ancora in albergo sotto l'influsso dell'aria condizionata, ma ormai do' piena fiducia ai mezzi nipponici e ritengo che non deludera' certamente le mie aspettative.
Ed infatti, non le deludera', no, veramente, questa volta non le delude, esco fuori, con un caldo bastardo e niente, sto fresco, tatticissime sono alcune cuciture fatte in modo che possa passarci l'aria attraverso, questo lungo l'attaccatura delle braccia, vedi ascelle.
Il pantalone e' largo e la stoffa rigida quanto basta per non farla aderire alla pelle, agevolando anche in questo caso il circolo dell'aria.
In sostanza lo yukata per il maschio e' una gran bazza ed e' esattamente il contrario di quello per la donna, infatti Yukiko soffrira' il caldo infernale.

Step 1: treno per una fermata in localita' quasi montagnosa
Step 2: li' incontreremo Satop e Hatch i quali ci accompagneranno
Step 3: in autobus ancora piu' su' dove ci aspettera' un pranzo sul fiume

Io sono ignaro di quel che ci aspettera', so solo che se speravo di trovare refrigerio nelle luminose vette di Kyoto, mi sbagliavo con un ampio margine di tolleranza.
Capolinea, scendiamo e ci incamminiamo in salita.
La strada prevede ben poche variazioni sul tema, a meno che uno non volesse guadare il fiume sulla destra o procedere alla ninjia saltando di tetto in tetto lungo tutti i ristorantini/negozietti dal lato opposto del fiume.
Optiamo tutti per la turistica striscia d'asfalto sbirciando i vari menu' con prezziari da delirio.
Certo, la cornice e' suggestivissima, si pranza seduti su piccole palafitte erette a pochi centimetri dallo scorrere del fiume, immersi nella natura e il tutto in super stile nippo, con eserciti di cameriere in yukata perfettamente confezionati.
Qui e' la Disneyland dello stile, qui passano direttamente la carta di credito tra i denti di Dracula.
70euro minimo per un pranzetto neanche troppo elaborato, arriviamo ai 150 euro e piu' per un menu' che conti almeno 3 ciotole diverse.
Vedo sfumare la possibilita' di un pranzo finche' non arriviamo ad un localino che, per 13euro, propone uno dei sistemi piu' divertenti del mondo.
Scendiamo sul letto del fiume per lasciare le scarpe e salire sul pavimento sospeso a pochi centimetri dallo scorrere frusciante dell'acqua e aspettiamo il nostro turno.
In realta' all'inizio non capisco come mai non ci portino da mangiare o passino a prendere le ordinazioni, ci sono tipo 7 o 8 tavoli bassi, non apparecchiati, ai quali sono accomodate diverse persone, ma nessuna di queste mangia.
Solo una famiglia di genitori, nonni e bambino sta pranzando seduta di fronte al fiume, in quello che potrebbe essere considerato il miglior posto.
Ok, capito tutto, si mangia solo li' in quella posizione e forse e' per questo che si spende poco, perche' su 40 persone se va bene si mangia in un solo gruppo per volta, se a pranzare sono solo coppiette, moltiplica il tempo di un pranzo per 20, se sono dei single per 40, non resta che pregare che quelle 16 o 17 persone prima di te siano tutti componenti di una gita organizzata.
Ma siamo in giappone, il paese dove, se c'e' una fila, devi stare tranquillo che non durera' mai tanto quanto una fila in Italia, questo fino a 3 volte tanto la fila italiana.
Arriva il nostro turno e ci avviciniamo alla balaustra superpanoramica sul fiume che scorre.
Ci viene consegnato il classico set per udon o soba freddi, bacchette e prontipartenzavia!
Da un tubo in finto bamboo ecco che scorrono giu' dei piccoli gomitoli di ramen detti NAGASHI, sono suddivisi in porzioni singole in sequenze di N gomitoli per N persone pranzanti in quel momento.
Un tapis roulant acquatico.
Questo ti tiene in un costante stato di allerta, soprattutto se sei il primo della fila...e ovviamente il primo della fila sono io.
C'e' da dire che ti lascia un certo margine di tolleranza per i primi 3 passaggi, c'e' sempre chi dopo di te non si lascera' sfuggire la dose scorrevole, ma il quarto, l'ultimo dei 4, quello non puoi proprio lasciartelo sfuggire.
Ed eccomi che in piu' riprese cerco di bloccare il nagashi selvatico che, spinto dalla corrente, dribbla le mie bacchette e si avvicina minacciosamente alla zona-Yukiko, una volta entrato nella sua "giurisdizione" e' suo.
Mi guardo intorno per capire se non sono capitato nel ristorante di "Giochi senza Frontiere".
Poi capisco che no, e' semplicemente l'ennesima manifestazione dell'innata ludicita' giapponese.
Il bilancio totale e' dei migliori, su una quindicina di passaggi, mi sono trovato impreparato solo in 5 o 6 casi.
Pensando a come avremmo fatto a capire quale fosse l'ultima dose, immagino due o tre varianti:
1) Aspettiamo 30 minuti invano.
2) Smette di scorrere l'acqua.
3) Suona una sirena.
4) Passa un oggetto o un biglietto al posto del gomitolo di nagashi.

La realta' supera la fantasia e passa "semplicemente" un nagashi colorato di rosso (essendo "aromatizzato" umeboshi).
L'esperienza e' notevolissima e supera di gran lunga quella del KAITEN SUSHI, li' eri certo che passato un piattino ce ne fosse un altro, mentre qui se tutti mancavano il fantomatico gomitolo, ecco che lo vedevi allontanarsi in un mini-rafting dopo un tuffo nell'acqua del fiume.
Nel laghetto piu' a valle devono sicuramente esserci delle carpe amiche di Godzilla.

Il nostro giro in giostra culinario e' terminato.
Ci alziamo, ringraziamo, diamo l'ultima occhiata al rullo acquatico e ci dirigiamo verso il tempio KIFUNE
E' collina/montagna, quindi salite e discese, l'aria non e' abbastanza fresca e lo yukata per quanto sia un capolavoro di comodita', non ha sistemi di condizionamento integrati.
Il tempio ci accoglie con due grandi alberi ai quali sono appesi i desideri e gli obiettivi dei visitatori, spero per loro che il dio di questo tempio se la cavi meglio di me con il giapponese scritto.
Il mio voyeurismo e' frustratissimo, tutti quei desideri appesi e non poterne spiare neanche uno.
C'e' anche il giochino "sfida la sorte e vedi se sarai fortunato" questa volta pero' non devi pescare un bacchetto maledetto da una scatola, devi semplicemente comprare un foglio apparentemente bianco, privo di qualsiasi scritta e immergerlo nella vasca d'acqua di sorgente.
Lo lasci galleggiare un po' ed ecco che miracolosamente compaiono i caratteri premonitori.
Ora trova un giapponese disposto a tradurtelo e pensa bene che tu non hai mai creduto in queste cose, se vuoi uscire dal tempio Kifune con il sorriso sulle labbra.

In quasi tutti i templi che ho visitato ho visto delle gran murate di legni verticali con scritti sopra ideogrammi.
Questo non e' da meno e decido di informarmi su che cosa siano.
"Sono i nomi dei padroni del tempio, se paghi una cifra puoi mettere il tuo nome sul legno e rimarra' per sempre nel tempio".
Ci sono 2 dimensioni, almeno 10.000yen (70 euro) per quello piccolo, che aggiunto alla murata fa' ne' piu' ne' meno l'effetto di una goccia nell'oceano o del nome dell'addetto ai cestini della frutta nei titoli di coda di un colossal hollywoodiano, mentre con circa 500.000yen (ma le cifre non sono ufficiali, puoi avere la targhetta un po' piu' grande, circa il doppio delle altre e avere un posto d'onore piu' in vista, insomma, non sei piu' il porta cestini della frutta ma uno dei protagonisti.
Qua sanno sicuramente come fare leva sulla ego dei visitatori.

Hatch, Satop e Yukiko decidono di appendere il loro desiderio all'albero, io mi astengo, in questo momento non ho desideri da esprimere.
Mi sembra che negli ultimi tempi si siano avverati piu' o meno tutti e non vorrei approfittarne troppo.

Torniamo verso l'autobus che ci deve portare a valle, nell'attesa acquisto una ramubottle, bevanda dalla bottiglia alquanto bizzarra, a meta' del collo contiene una pallina di vetro, della quale mi chiedo l'utilita'.
Non ha utilita', e' semplicemente decorativa e distintiva di questa bevanda.
La pallina e' incastrata tra due strettoie e mi chiedo se non sia mai successo a qualcuno di ritrovarsi soffocato da una pallina divetro a causa di una bottiglia difettosa.

Dopo averla tracannata a dovere mi prodigo nell'estrazione della pallina.
E' veramente di vetro ed e' subito souvenir.
Passiamo da casa di Hatch per un po' di riposo
Autobus + Metro e arriviamo a valle.
Sul tragitto per la macchina di Hatch notiamo una "GELATERIA", ci vuole proprio un bel gelato.
Da segnalare il cono QUADRATO (vedi foto) tanto da meritarsi il nome "quadrato" stesso medesimo.
Nessuna utilita' neanche per questa forma di cono, se non quella di contenere una maggiore quantita' del peggior gelato mai mangiato in Giappone.

Arriviamo a casa di Hatch, scatta il beveraggio, ci sediamo un attimo e perdo i sensi in 4 o 5 sessioni, mi riprendo, a tratti sudo forsennatamente, poi il ventilatore mi getta uno sguardo e lo benedico.
Via, fine riposo, ora tutti al tempio DAITO KUJI.
Bene, pare che tale tempio sia l'equivalente dell'AREA 51 americana, non si possono assolutamente fare foto, se fai le foto esce un ninja e ti ammazza con la tua stessa macchina fotografica.
Prima del ninja arriva un nippo incazzato nero che ti urla qualcosa in giapponese, nota la tua espressione e traduce con un "NO PHOTO" che suona piu' come un "VAFFANCULO!".
Hatch riesce a fare qualche scatto, alcuni me li ha anche spediti via mail ma me li sono persi, sara' la maledizione del tempio.
Io faccio timidamente uno scatto ad Hatch e nel panico il CLICK della macchina fotografica, nella quiete del tempio, mi sembra un petardo di quelli grossi.
Temo il peggio, ma siccome c'era chi "peggio di me", io passo inosservato.
Comunque un bellissimo tempio, forse uno dei piu' belli mai visitati, o forse m'e' sembrato cosi' bello perche' non potevo fotografarlo, non so, sta di fatto che se volevi un ricordo visivo dovevi comprarti il libretto del tempio in vendita all'uscita.
Non gli ho dato la soddisfazione.

Usciamo e facciamo una passeggiata per le vie del "centro".
Turisti come se piovesse, vedo piu' turisti a Kyoto che a Tokyo, sara' il fascino della citta' antica o il fatto che a Tokyo c'e' piu' da disperdersi, chissa'...

Si e' fatta sera, e' ora di cena, dopo mezz'ora di indecisione tra il ristorante indiano e quello pakistano, decidiamo di camminare altri 30 minuti per raggiungere l'unico ristorante pakistano chiuso di tutta Tokyo,
Finalmente arriviamo ad un ristorante indiano.
Il Asia e soprattutto in giappone, c'e' il problema dello spazio e quindi e' normale che un ristorante trovi sede in un appartamento di un palazzo o condominio.
Saliamo le scale per arrivare al secondo piano e siamo pronti per ordinare.
Un classico ristorante indiano, non fosse per un'unica stranezza, prendo un mix di verdure varie tra le quali del cavolfiore.
Tale cavolfiore presentava un aspetto rosso fuoco al posto del verde giallo tipico.
Mi immagino una classica salsina indiana ma al primo boccone si rivela essere il concentrato di anni e anni di cucina piccante indiana.
Mi si aprono le sinapsi assieme a tutti i pori del corpo, mantengo il controllo degli orifizi e mi abbandono alla morte.
Passo in rassegna tutto cio' che mi circonda come fossero le ultime istantanee della mia vita, finche' non poso gli occhi su quello che sara'
l'unico sollievo: quella bevanda a base di yogurt annacquato e della quale mi chiedevo precedentemente l'utilita'.
Finiamo la cena, con l'unico inconveniente che essere vegetariani in mezzo a carnivori e' un problema quando si e' anche generosi: "vuoi sentire?" e tutti "si, grazie" cosi' tutti prendono un po' del tuo ma tu non prendi un po' del loro, loro mangiano in 3 da te e tu che dovresti mangiare in te da 3 niente.
Torniamo all'albergo, domani si visita il tempio TOFUKUJI e si parte per Niigata.

Suona la sveglia.
Mi doccio nell'ennesimo bagno in plexiglass e tutto bene come al solito, ma quando vado per asciugarmi, prevedendo di usare il trucchetto del phon per togliere la patina di condensa dallo specchio, ecco come mi si trasforma la giornata.
Lo specchio e' tutto appannato tranne che in un "riquadro" proprio sopra al lavandino.
Magia, mistero...ma quanto sono avanti i giapponesi?
Guardo dietro lo specchio ma c'e' lo spazio di 1 mm e non ri riesce a capire.
Lo tocco e in quella porzione nitida e senza condensa e' caldo.
Che spettacolo.
Chiamo Yukiko per farle vedere il prodigio tecnologico e mi guarda come dire "si, e' normale..."

Prepariamo tutto, io aggiorno qualcosa con l'internetto e scendiamo.

Sono 2 giorni che siamo in questo albergo e sono almeno 4 volte che cerco di misurarmi la pressione in una macchinetta nella hall.
Niente, non ce la faccio mai.
Questo e' l'ultimo tentativo.
Schiaccio tutti i bottoni che vedo, tutti, e tutto ad un tratto si accende il display, pronto per la misurazione.
Inserisco il braccio e aspetto che mi esploda l'avambraccio per la pressione, proprio quando mi rassegno all'amputazione, il cuscino smette di gonfiarsi e lentamente si sgonfia.
Sento i battiti cardiaci tornare a pulsare nel mio braccio e sono libero, libero di constatare una pressione bassissima.
Avanti cosi'.

Ultimissimo giro nella giostra di Kyoto, il tempio TOFU KUJI, chiedere ad un nipponico come si scrive in ROMANJI un nome giapponese e' una delle imprese piu' ardue che mi siano mai capitate, devono assolutamente smettere ogni attivita', poi cominciano e tu non saprai mai se e' una L o una R, se e' una H o una Y, non ti resta che abbozzare e tentare la sorte, cercando di indovinare.
Quindi nessuno dei nomi che ho fatto sono sicuri al 100%, solo Marcosan puo' saperlo.

Che dire del tempio TOFU KUJI che non abbia gia' detto durante le visite agli altri templi?
Niente.

Torniamo all'albergo a prelevare le valige ed Hatch ci accompagna al treno per Niigata.
Saluto Hatch e Satop come se ci dovessimo rivedere tra una settimana o qualche giorno, in effetti siamo rimasti che ci saremmo visti poco prima del ritorno in Italia a Tokyo, ma siccome sto scrivendo queste cose con almeno 4 mesi di distanza, basandomi su ricordi e appunti, posso assicurare che non ci siamo piu' visti.
Non c'e' problema, ci rivedremo a capodanno in Italia, anche se io vorrei davvero essere a capodanno in Giappone come l'anno scorso.
Trattengo le lacrime e passo al capitolo successivo.