HAKATA,
sud-ando nel Giappone
02/03.08.2006
Hakata ci accoglie nel suo afoso abbraccio, ho perso il
conto dei giorni e non so' piu' che giorno sia, sabato?
domenica? non lo so..
Arriviamo al tramonto, appena usciti dalla stazione mi
trovo di fronte ad una piazza che nulla ha da invidiare a
quelle delle altre citta' importanti giapponesi.
Yukiko mi informa che Hakata e' la terza citta' piu' grande
del Giappone: "ah, ecco perche'"
Con quel nome, non so perche', mi immaginavo piu' un paese
che una metropoli, invece mi trovo di fronte ad una
caoticissima citta', piena di luci e suoni, ma con una
particolarita' in piu' rispetto a Tokyo: piu' sporca.
Hakata mi ricorda per molti aspetti Hong Kong.
Hong Kong, per me, rimane tutt'ora esteticamente e
suggestivamente insuperata, quando ci sono stato una decina
di anni fa (e sticazzi come passa il tempo) mi e' sembrato
di andare sul set di Blade Runner, i palazzi di vetro con
alla base micro ingressi completamente rivestiti di
lucidissimo marmo ma contornati da insegne al neon e negozi
vecchi e caotici di qualsiasi cosa, mi davano l'impressione
di vedere un elegantissima signora in abito da sera scalza
e con i piedi tutti infangati.
Le vie senza un centimetro di cielo erano suggestivissimi
tunnel di luminose scritte cubitali, sospese precariamente
a fili troppo arrugginiti per servire a qualcosa.
Vedere, poi, dei boeing 747 sfiorare i tetti delle case
atterrando al KAI TAK AIRPORT, era l'apice degli apici (ai
tempi era ancora aperto), non tutti i piloti erano
abilitati ad atterrare li', serviva infatti un allenamento
speciale.
Bene, dicevo, Hakata mi ricorda Hong Kong e reclama
l'appartenenza del Giappone a quella parte di mondo che
viene definita ASIA.
Se sull'Italia ci sono luoghi comuni ormai centrifugati,
pizza, mandolino, spaghetti, mafia, visitando il Giappone
ci si rende conto che anche di questo paese i luoghi comuni
sono altamente inflazionati: Manga, sushi, kimono, samurai
(con variante ninja) e Yakuza.
Hakata e' una di quelle citta' che ti fanno capire, piu' di
altre (per quel che riguarda la mia esperienza), che il
Giappone non e' solo questo.
Mi trascino con borse e zaini vari verso l'albergo, un
tipico albergo RYOKAN giapponese, quello nel quale e'
probabile che ci troveremo costretti ad affrontare "la fantasma giapponese", quello che
costa 15,50 euro a notte.
Arriviamo, l'ingresso esterno e' piuttosto suggestivo, ci
sono piante giapponesi, tutto rivestito in legno e bambu',
pare proprio fighissimo.
Entriamo e ho la percezione di trovarmi in un ostello,
comincio a temere che Marco avesse ragione quando, ridendo,
aveva commentato questo ryokan dicendo "ah, si', sarete in
otto a dormire nella stessa stanza".
Check in e saliamo verso la nostra stanza.
La scala e' di quelle giapponesi, se si potesse tracciare
una linea che unisse tutti gli scalini, questa avrebbe
un'inclinazione di 80°, non e' una scalinata, e' una
scalata.
Camminando verso la stanza (e successivamente anche negli
altri corridoi) capisco subito che in questo genere di
alberghi "antichi" la forza di gravita' va un po' per i
cazzi suoi, tu stai camminando e ad un certo punto e' come
se venissi sbalzato contro una parete, oppure tutto ad un
tratto ti trovassi a dover frenare un' accelerazione
improvvisa, questo provoca anche una sensazione di
vertigine continua e timore di essere vittima di una
disfunzione al labirinto.
Il motivo e' semplice: i ryokan sono tutti storti.
Dopo che l'oste ci ha fatto vedere come accedere alla
stanza (con porte rigorosamente scorrevoli) entriamo.
Tempo fa, parlando con Yukiko, mi disse che il tatami, dopo
un tot di tempo, va sostituito, perche' l'erba che c'e'
dentro si deteriora, cosi' come la superficie, da un
verdino iniziale diventa viavia piu' gialla (seccandosi),
finche' non comincia a sfibrarsi.
Bene, se fino ad ora non capivo come potesse essere un
tatami da sostituire, qui ne avevo l'esempio lampante.
Non c'era un centimetro quadrato di tatami che fosse
minimamente regolare, era come se 10 minuti prima Antonio
Inoki e Giant Baba avessero disputato la finale di catch in
quella stanza.
Appoggiamo le borse e diamo un'occhiata in giro.
L'arredo ed il colore delle pareti non lasciano
perplessita', qui non toccano niente da almeno 35 anni,
forse 40.
Un "motivo ornamentale" (notare l'uso di un eufemismo)
nell'angolo "utilita'" mi fa venire in mente uno di quei
film anni 60/70, una finta finestra/apertura, che non
avrebbe piu' motivo di esistere, affaccia sul muro 10
centimetri piu' indietro, ciliegina sulla torta un ramo di
almeno che orna a mo' di balaustra il tutto.
C'e' un piccolo frigo al quale non affiderei neanche i miei
calzini sporchi e un telefono, con il quale poter chiamare
i propri avi nel passato in caso di necessita'.
Le pareti sono giallo/beige e il puzzo di fumo stanti mi
spiega il perche', deve aver ospitato almeno 20 edizioni di
raduni di tabagisti nipponici.
1 minuto di "relax" e usciamo per un giretto.
Il Giappone e' un'isola, lo spazio e' limitato, i
giapponesi sono tantissimi e ovviamente, la maggior parte
di loro ha la macchina, non essendoci piu' posto si sono
inventati i parcheggi a piu' piani, in sostanza, dove noi
avremmo uno spiazzo con 30 macchine, loro ce ne fanno stare
minimo 60, anche se non ho ben capito come facciano a far
scendere la macchina che sta al piano di sopra se quella
del piano di sotto e' ancora parcheggiata li'.
Ci sono anche palazzi interi che non sono altro che
parcheggi, il meccanismo e' lo stesso dei nostri attuali
distributori di dvd, senti un po' di rumori meccanici,
ronzii robotici e la tua macchina e' "parcheggiata".
Quello che piu' impressiona e' la velocita' di
"archiviazione", sembra che le automobili non pesino
niente.
Nei giorni successivi avrei visto, da dentro, uno di questi
palazzi andando a ritirare la macchina di Satoko, ho
guardato in alto ed e' stato impressionante, una
prospettiva che si perdeva all'infinito e sui due lati del
"tunnel" verticale tutte le macchine, una sopra all'altra.
Entri con la macchina, arriva una pinza gigante che da
sotto preleva la tua macchina e la solleva a velocita'
inaudita, quando torni la tua macchina scende nuovamente
con una velocita' inaudita e una piattaforma girevole la
ruota di 180°, pronta per essere sganciat..ehm, pronta per
essere prelevata.
Passeggiamo per la Hakata notturna ed e' un brulicare di
attivita', Yukiko cerca un canale lungo il quale dovrebbero
esserci 200 bancarelle con qualsiasi cosa, da "i cibi" ai
gadget e cosi' via.
Ripercorriamo l'intera mappatura dei canali di tutta Hakata
e le uniche bancarelle che vediamo vendono "i cibi" e
basta, non sono piu' di 6 o 7, emanano fumi e fetori
allucinanti e se hai la sfiga di incrociare con lo sguardo
il proprietario, questo ti chiede quanti siete e cosa
volete, se non fai finta di niente ci manca poco che ti
presenti il conto.
E' questa una delle cose che mi fanno capire di essere in
Asia.
Ho i piedi che sono frantumati, passeggiando passiamo di
fronte ad un piccolo "laboratorio" dove dei cinesi ti
massaggiano bene bene i piedi, 500 yen (3,5euro) non mi
sembrano cosi' tanti, a volte ho speso di piu' per cose
molto meno vitali, guardo Yukiko con lo sguardo tipico del
"ohi...quasi quasi..." e mi avverte: "io l'ho fatto una
volta, fa molto male, pero' e' bello, dopo stai molto
bene".
Penso "molto male...molto male ci sarai stata te perche'
magari sei sensibile...cosa faranno mai di cosi' strano da
fare molto male, a casa mia molto male ha
sicuramente un altro parametro..."
Dico "ok, proviamo, tutto sommato sono 10 minuti, c'e'
l'aria condizionate, ci riposiamo un po'..."
Dentro c'e' gia' uno che sta subendo il trattamento e
Yukiko mi fa notare la sua faccia, in effetti il tipo non
sembra che se la stia passando tanto bene, ogni tanto la
faccia gli converge tutta al centro diventando la perfetta
imitazione di una prugna secca.
Incurante di quanto sto vedendo, sono gia' sulla poltrona
pronto per la mia dose di sollievo.
Arriva un ragazzo cinese con il suo beauty case dal quale
estrae un piccolo asciugamano bollente con il quale mi
sterilizza il piede sinistro.
Passata di unguento scivoloso e sono nell'inferno assoluto.
E' un pazzo, un folle, al posto delle mani ha due morse
d'acciaio e sta sfogando tutta la sua frustrazione
ortopedica sul mio piede sinistro.
Qualsiasi punto vada a toccare, produce un dolore
indescrivibile, guardo Yukiko e la vedo nel tipico sorriso
di chi ti guarda pensando "te l'avevo detto che faceva
molto male".
Un'altra cosa da ricordare sempre e' che se un giapponese
dice una cosa, va presa esattamente alla lettera.
Andiamo a cenare in quella che sara' l'attrazione maggiore
il giorno successivo: al Canal City.
Il CANAL CITY e' un centro commerciale, non e' grande, no,
ci passa un canale in mezzo, in sostanza e' l'equivalente
di un paese neanche troppo di campagna.
L'architettura si presenta subito azzardata e la prima cosa
che penso e' "qui sarebbe impossibile chiudere tutte le vie
di accesso agli zombie".
Andiamo all' IZAKAYA, un pub ristorante dove prendiamo "i
cibi", visto che alle bancarelle non erano commestibili.
Torniamo al ryokan.
Serve una doccia...ovviamente non c'e' il bagno in camera,
seguo le indicazioni e mi trovo nel bagno giapponese, lo
stesso identico della sauna: sgabello, bacinella, doccino e
dispenser di shampoo e docciaschiuma, tutto da utilizzare
con il classico "asciugamano" giapponese, senza il quale,
scopriro' poi, di non essere piu' in grado di lavarmi.
C'e' una cosa che non capisco in questo Ryokan, nella
stanza e' freschissimo perche' c'e' il condizionatore, come
in tutte le stanze di tutti i locali giapponesi, ma nei
corridoi la vita e' impossibile, non e' caldo, e' piu'
caldo del caldo che c'e' fuori.
Cerco di percorrerli velocemente e sono sul tatami di
Antonio Inoki.
Buonanotte.
Il risveglio non e' dei migliori: gola secchissima, cerco
di deglutire ma le mie ghiandole salivari secernono sabbia.
Sbrigo le pratiche di vestizione d'emergenza e mi calo nel
centro della terra: il corridoio con i lavandini.
Butto un'occhio fuori dalla finestra e ho la risposta al
calore insopportabile, il pezzo di condizionatore che sta
all'esterno (non conosco il nome tecnico) moltiplicato per
il numero di stanze e' installato in un'intercapedine
esterna della palazzina e dirige il suo getto di aria
bollente dritto dritto al centro della finestra, ovviamente
aperta.
Mai lavato cosi' velocemente in vita mia faccia e denti.
Benvenuti al Canal City.
Alla stazione di Hakata, nel cartello alla stazione, come
sottotitolo dovrebbero aggiungere "Canal City", visto che
non hanno intenzione di installare una stazione delle
ferrovie nel Canal City stesso, anche se credo che ci
sarebbe sicuramente lo spazio (e la necessita').
Entriamo, le mappe sono incomprensibili a chiunque e
l'intera area e' progettata per far perdere i visitatori,
che si vedranno cosi' costretti a vagare all'infinito in
cerca della liberta', tra un acquisto e l'altro.
Cominciamo a vagare.
L'attenzione viene subito catalizzata da un banchetto
allestico con una serie di pupazzetti di plastica, molto
semplici, ai quali viene data una discreta importanza, pare
sia la novita' del momento.
Chiedo a Yukiko se sa' di cosa si tratti: "si', e'
UNAZUKI".
Unazuki ricorda molto le matrioske russe, ma ovviamente in
stile giapponese, lo osservo bene e scopro che di tanto in
tanto fa un cenno con la testa, muove la faccia con uno
scatto in giu' o verso sinistra/destra, sembra che annuisca
o neghi qualcosa.
Io: "ma cosa fa? fa solo cosi'? che senso ha?"
Yukiko: "Serve se non hai amici, parli con Unazuki e ogni
tanto dice si' o no".
Non ho parole.
Sono riusciti ad andare oltre il tamagochi...
Lo guardo: "ti compro?"
Unazuki annuisce.
Non sa cosa lo aspetta, ho tutta una serie di cose da
dirgli che dovro' fargli almeno una decina di cambi di
pile.
Ultraman store, dove c'e' la maglietta della mia vita,
ovviamente taglia L, cioe' 2 misure piu' grandi della mia e
rimane li' appesa in bella mostra.
Camminiamo, prendiamo qualcosa per colazione e incrociamo
quello che io definisco il "paradiso delle schifezze", Il
negozio DAGASHIYA, questo tipo di negozio e' molto
tradizionale, e' pieno di dolcetti, caramelle, gadget e chi
piu' ne ha piu' ne metta tipici nipponici.
La prima cosa che compro e' una scimmia che, previa
pressione su di un bottone, apre la botta e batte due
piattelli facendo rumore, e' ipnotismo puro alla prima
pressione.
A seguire mi affido al caro vecchio istinto packaginesco,
trovo le umeboshi secche di Okinawa e ne compro subito una
busta, ero in astinenza da qualche mese.
E' quasi ora di andare, una passata da UNIQLO.
Uniqlo e' una specie di UPIM o STANDA (prima che venisse
convertita in pseudo coop dal cavaliere) dove si trova
abbigliamento ad un prezzo economicissimo.
Se in Italia ho girato mezza Ravenna per trovare un paio di
jeans (che non ho trovato) a prezzi che andavano dai 70 ai
110 euro, da UNIQLO per 25 euro trovo almeno 3 tipi di
jeans che fanno al caso mio:
1) NO BRAND
2) SEMPLICI, senza cagate strane tipo sporcature di murcia
o vernice, strappi o borchie oscene
3) SCOLORITI al punto giusto
4) COMODI, larghi ma non troppo
5) ECONOMICI
Prendo un 28 e mi dirigo verso il camerino.
Entro e salgo su di una piccola pedana, Yukiko mi segue e
di li' a poco arriva la commessa che mi dice qualcosa che
non capisco: "dice che devi toglierti le scarpe".
Ok, figura di merda numero 1.
Chiudo e nel camerino spiccano 2 ganci attaccapanni.
Una cosa che ho sempre ODIATO del 90% dei camerini italiani
e' la presenza di 1 solo gancio attaccapanni, che ti
costringe a decidere di lasciare qualcosa per terra.
In Giappone non sarebbe un problema, visto che c'e' la
moquette, ci si entra scalzi ed e' tutto pulitissimo,
appoggerei per terra anche il gelato, se ne stessi
mangiando uno.
In Italia sono quasi sempre sporchi, impolverati e
ovviamente scegli di appoggiarci LA TUA ROBA perche' la
commessa ci ha appena appeso quello che ti devi provare, e
spogliarsi con una mano sola non e' un'operazione da farsi
in un metro quadro.
Un'altra cosa che gli spogliatoi giapponesi hanno in piu'
di quelli italiani e' un aggancio/sicura per la tendina una
volta chiusa, che ti tiene al riparo da sguardi indiscreti.
In Italia sei costretto nella maggior parte dei casi ad
accettare il fatto che il 90% della clientela venga a
conoscenza del tuo culo.
Fatto, il 28 e' stretto, 29, il 29 mi sembra che vada bene
ma io entro in modalita' imbarazzo con la commessa e lascio
che prenda l'orlo.
Mi sfilo i pantaloni cercando di stare attento a non
praticarmi l'agopuntura ma, stupore degli stupori, la
commessa ha preso l'orlo segnandolo con una spilla
da balia, impossibile trafiggersi.
E un altro punto a favore dei giappo.
La commessa dice che nel prezzo e' compreso il lavoro di
accorciatura, la cosa e' praticamente immediata, in 10
minuti e' tutto pronto.
Aggiungo al cestello, ringrazio, vado a prendere un 30 e mi
faccio aiutare da Yukiko a riprendere
l'orlo, il tutto ad insaputa della commessa.
Aggiungo anche una polo tranquilla dal prezzo
incredibilmente basso e un set da 3 di calzini per TABI.
Se UNIQLO esistesse anche in Italia, avrei svariati
problemi in meno.
Torniamo al ryokan a prendere le valigie.
Lungo la strada per la stazione mi imbatto in un PACHINKO,
fuori una serie di banner informano che "THE KEY TO SUCCESS
IS NEVER QUIT", "la chiave del successo e' non smettere
mai", peccato che non specifichi di chi sia il successo,
cioe' dei gestori del Pachinko.
Alla stazione vedo una bancarella di frutta, in esposizione
dei piccoli grappoli d'uvadai chicchi spropositatamente
grandi, ogni grappolo costa circa 7.000 yen, che tradotto
in euro significa 50euro circa..."what??!!! 50 euro per un
piccolo grappolo d'uva grande come un pugno? sticazzi! del
resto l'uva non mi ha mai esaltato.
Treno "normale" (non shinkansen) per TAMANA, ma dalle
fattezze inquietanti, fuori di un grigio scuro con i numeri
delle carrozze in rilievo, l'interno, invece, sembrava
preso in prestito da un aereo di linea.
Tamana e' una frazione di KUMAMOTO, la citta' dove vive
Satoko.
Li' saremo ospiti della sua famiglia per un paio di giorni,
visiteremo un po' la citta' e il castello di Kumamoto, il
terzo castello piu' grande del giappone, poi andremo a
Kyoto, Satoko verra' con noi perche' ad aspettarci a Kyoto
ci sara' Hatch, il suo ragazzo.